La storia dell’arcobaleno è antica quanto la storia della scienza. Già Alessandro di Afrodisia (III sec. – II sec a.C.) aveva cercato di descrivere l’arcobaleno come fenomeno di luce e colori e a lui si assegna la paternità della scoperta della zona scura tra l’arcobaleno primario e quello secondario; si deve invece ad Aristotele (384 o 383 – 322 a.C.) una prima completa descrizione del fenomeno ottico: «L’arcobaleno non forma mai un’intera circonferenza e nemmeno un arco maggiore di una semicirconferenza. Al tramonto e all’alba lo spessore dell’arco è stretto e l’arco ha la massima estensione. Quando il sole si alza maggiormente nel cielo lo spessore si allarga e la lunghezza dell’arco si riduce. Dopo l’equinozio d’autunno, nei giorni più corti, può essere visto a qualunque ora del giorno; in estate non può essere visto nelle ore del mezzogiorno. Non ci sono mai più di due arcobaleni nello stesso tempo. Ognuno di essi ha tre colori. I colori sono gli stessi in entrambi e il loro numero è identico, ma nell’arcobaleno esterno sono più deboli e la loro posizione è invertita. Nell’arcobaleno interno la prima e più larga striscia è rossa; in quello esterno la striscia più vicina a quello interno è dello stesso colore ma più stretta. Per le alte strisce vale lo stesso principio. Queste hanno gli unici colori che i pittori non possono fabbricarsi, dato che ci sono colori da essi creati con misture, ma nessuna mistura può dare il rosso, il verde e il blu. Questi sono i colori dell’arcobaleno, per quanto talora tra il rosso e il verde si possa vedere il giallo » [Aristotele, Meteorologia: Libro III]. In questo modo, l’arcobaleno entra a pieno titolo tra i fenomeni oggetto di studio da parte dei fisici anche se, secondo Lee e Fraser: « Despite its many flaws and its appeal to Pythagorean numerology, Aristotle’s qualitative explanation showed an inventiveness and relative consistency that was unmatched for centuries. After Aristotle’s death, much rainbow theory consisted of reaction to his work, although not all of this was uncritical » [1]. La descrizione aristotelica dei colori dell’arcobaleno riduce a tre il loro numero, e questa interpretazione fu accettata per molto tempo, con sottili differenze numerologiche associando i tre colori alla Trinità o altrimenti quattro colori associati ai quattro elementi della tradizione empedoclea. La riflessione della luce del sole tra le nuvole, lo studio dell’angolo di incidenza dei raggi luminosi, la spiegazione della forma circolare dell’arcobaleno, l’effetto ottico di profondità infinita rispetto all’origine del fenomeno luminoso sono tutte questioni che hanno incuriosito per secoli studiosi di differenti discipline. Nelle Naturales Quaestiones (ca. 65 d.C.), Lucius Annaeus Seneca (ca. 4 a.C. - 65 d.C.) dedica un intero libro alla spiegazione del fenomeno dell’arcobaleno ed espone la teoria secondo la quale l’arcobaleno, che appare sempre di fronte al sole, è prodotto dal riflesso dei raggi solari sulle goccioline d’acqua, così come dal riflesso dei raggi solari in una nuvola a forma di specchio concavo, e racconta come si possa vedere l’arcobaleno in un cilindro di vetro attraversato da un raggio luminoso, anticipando, di fatto, le esperienze di Isaac Newton (1642 - 1727) con il prisma ottico. Roger Bacon (1214 – 1294), Teodorico di Freiberg (Meister Dietrich, Theodoricus Teutonicus de Vriberg, ca. 1250 – ca. 1310) [2] e René Descartes (1596 – 1650) - per non citarne che alcuni - affrontano per via speculativa lo studio del fenomeno visivo inframmezzando tra loro scienza e alchimia, ragione e sentimento: i colori dell’arcobaleno arrivano (agli occhi) per effetto di fenomeni fisici e sensoriali, interpretativi ed esperienziali. Si deve, invece, a Willebrord Snell (Willebrordus Snellius, 1580 – 1626) la comprensione (1621) che l’arcobaleno è un fenomeno strettamente fisico e come l’arcobaleno deve diventare argomento di studio rigoroso secondo le leggi matematico-fisiche della riflessione e della rifrazione; e poi a Newton la comprensione (1666) che l’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda per cui ogni raggio di sole genera il proprio arcobaleno. In questa breve nota si vuole ripercorrere una storia spesso dimenticata che attraverso le prime intuizioni dei filosofi greci fino ad arrivare alla scienza moderna ha connotato la ricerca in un campo della fisica dove il colore dell’arcobaleno appartiene sì al mondo della fisica ma altresì - come scriverà nel 1803 Thomas Young (1773 – 1829), siccome “le onde luminose creano alternanza tra luce e tenebre”, tra conoscenza e speculazione teoretica, per successive interferenze costruttive e distruttive -, il colore dell’arcobaleno appartiene, di fatto, al mondo speculativo come a quello dell’immaginazione.

Breve storia dell'arcobaleno

CORRADI, MASSIMO
2016-01-01

Abstract

La storia dell’arcobaleno è antica quanto la storia della scienza. Già Alessandro di Afrodisia (III sec. – II sec a.C.) aveva cercato di descrivere l’arcobaleno come fenomeno di luce e colori e a lui si assegna la paternità della scoperta della zona scura tra l’arcobaleno primario e quello secondario; si deve invece ad Aristotele (384 o 383 – 322 a.C.) una prima completa descrizione del fenomeno ottico: «L’arcobaleno non forma mai un’intera circonferenza e nemmeno un arco maggiore di una semicirconferenza. Al tramonto e all’alba lo spessore dell’arco è stretto e l’arco ha la massima estensione. Quando il sole si alza maggiormente nel cielo lo spessore si allarga e la lunghezza dell’arco si riduce. Dopo l’equinozio d’autunno, nei giorni più corti, può essere visto a qualunque ora del giorno; in estate non può essere visto nelle ore del mezzogiorno. Non ci sono mai più di due arcobaleni nello stesso tempo. Ognuno di essi ha tre colori. I colori sono gli stessi in entrambi e il loro numero è identico, ma nell’arcobaleno esterno sono più deboli e la loro posizione è invertita. Nell’arcobaleno interno la prima e più larga striscia è rossa; in quello esterno la striscia più vicina a quello interno è dello stesso colore ma più stretta. Per le alte strisce vale lo stesso principio. Queste hanno gli unici colori che i pittori non possono fabbricarsi, dato che ci sono colori da essi creati con misture, ma nessuna mistura può dare il rosso, il verde e il blu. Questi sono i colori dell’arcobaleno, per quanto talora tra il rosso e il verde si possa vedere il giallo » [Aristotele, Meteorologia: Libro III]. In questo modo, l’arcobaleno entra a pieno titolo tra i fenomeni oggetto di studio da parte dei fisici anche se, secondo Lee e Fraser: « Despite its many flaws and its appeal to Pythagorean numerology, Aristotle’s qualitative explanation showed an inventiveness and relative consistency that was unmatched for centuries. After Aristotle’s death, much rainbow theory consisted of reaction to his work, although not all of this was uncritical » [1]. La descrizione aristotelica dei colori dell’arcobaleno riduce a tre il loro numero, e questa interpretazione fu accettata per molto tempo, con sottili differenze numerologiche associando i tre colori alla Trinità o altrimenti quattro colori associati ai quattro elementi della tradizione empedoclea. La riflessione della luce del sole tra le nuvole, lo studio dell’angolo di incidenza dei raggi luminosi, la spiegazione della forma circolare dell’arcobaleno, l’effetto ottico di profondità infinita rispetto all’origine del fenomeno luminoso sono tutte questioni che hanno incuriosito per secoli studiosi di differenti discipline. Nelle Naturales Quaestiones (ca. 65 d.C.), Lucius Annaeus Seneca (ca. 4 a.C. - 65 d.C.) dedica un intero libro alla spiegazione del fenomeno dell’arcobaleno ed espone la teoria secondo la quale l’arcobaleno, che appare sempre di fronte al sole, è prodotto dal riflesso dei raggi solari sulle goccioline d’acqua, così come dal riflesso dei raggi solari in una nuvola a forma di specchio concavo, e racconta come si possa vedere l’arcobaleno in un cilindro di vetro attraversato da un raggio luminoso, anticipando, di fatto, le esperienze di Isaac Newton (1642 - 1727) con il prisma ottico. Roger Bacon (1214 – 1294), Teodorico di Freiberg (Meister Dietrich, Theodoricus Teutonicus de Vriberg, ca. 1250 – ca. 1310) [2] e René Descartes (1596 – 1650) - per non citarne che alcuni - affrontano per via speculativa lo studio del fenomeno visivo inframmezzando tra loro scienza e alchimia, ragione e sentimento: i colori dell’arcobaleno arrivano (agli occhi) per effetto di fenomeni fisici e sensoriali, interpretativi ed esperienziali. Si deve, invece, a Willebrord Snell (Willebrordus Snellius, 1580 – 1626) la comprensione (1621) che l’arcobaleno è un fenomeno strettamente fisico e come l’arcobaleno deve diventare argomento di studio rigoroso secondo le leggi matematico-fisiche della riflessione e della rifrazione; e poi a Newton la comprensione (1666) che l’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda per cui ogni raggio di sole genera il proprio arcobaleno. In questa breve nota si vuole ripercorrere una storia spesso dimenticata che attraverso le prime intuizioni dei filosofi greci fino ad arrivare alla scienza moderna ha connotato la ricerca in un campo della fisica dove il colore dell’arcobaleno appartiene sì al mondo della fisica ma altresì - come scriverà nel 1803 Thomas Young (1773 – 1829), siccome “le onde luminose creano alternanza tra luce e tenebre”, tra conoscenza e speculazione teoretica, per successive interferenze costruttive e distruttive -, il colore dell’arcobaleno appartiene, di fatto, al mondo speculativo come a quello dell’immaginazione.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/830203
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