Negli decenni centrali del XVIII secolo (a partire dal 1729 fino al 1768) la neutrale ed imbelle Repubblica di Genova dovette affrontare circa quarant’anni pressoché ininterrotti di ribellione e guerre civili nell’appendice insulare del suo Dominio, il regno di Corsica. Fino alla metà degli anni Cinquanta le cosiddette “guerre di Corsica” (termine che ben esplica la natura molteplice delle sollevazioni e delle lotte intestine che scossero l’isola) rappresentarono un conflitto principalmente terrestre, in cui gli aspetti marittimi furono limitati al pattugliamento costiero (al fine di interdire il traffico dei contrabbandieri in affari coi ribelli), alle operazioni anfibie (di fondamentale importanza per garantire la mobilità delle truppe durante le operazioni di guerra, in forza delle condizioni di estrema debolezza del sistema viario isolano) e alle necessità logistiche dell’apparato militare genovese relativamente al trasporto di approvvigionamenti, denaro, dispacci e rincalzi. Dalla metà degli anni Cinquanta, e ancor di più dagli esordi degli anni Sessanta, la creazione dal nulla di una flotta corsara da parte del leader ribelle Pasquali Paoli proiettò, con forza, il conflitto sui mari. La presenza costante, e numericamente non trascurabile, dei corsari paolisti nel mar Tirreno e nel mar Ligure provocò inevitabilmente la reazione del governo genovese e delle marinerie delle due riviere; reazione che si esplicò in un variegato campionario di soluzioni aventi come scopo il controllo degli spazi marittimi e la protezione del traffico mercantile. Genova mobilitò le galere dello stuolo pubblico e un numero consistente di bastimenti mercantili armati, sia rivieraschi (brigantini e galeotte di Alassio, feluche e feluconi di Chiavari e Lerici, pinchi di Deiva e di altre località) che corsi (gondole, leudi e feluche bonifacine, bastiesi, calvesi ed aiaccine), in frequenti campagne anticorsare, pianificate o improvvisate sul momento, e di pattugliamento delle coste in cerca dei sempre più attivi contrabbandieri. Le marinerie delle riviere, da parte loro, cercarono di sottrarsi alla corsa paolista in primo luogo munendosi, legittimamente o meno, di bandiere e passaporti neutrali (napoletani, toscani, carraresi, massesi, gerosolimitani, sardi, pontifici, spagnoli, francesi ed inglesi); in secondo luogo dotando di artiglieria, quando possibile, i bastimenti di maggiori dimensioni (è il caso, ad esempio, dei pinchi di Laigueglia e di Deiva); in terzo luogo navigando in convogli protetti da bastimenti armati in pubblico servizio o anche, in assenza di questi ultimi, formandone autonomamente altri i quali, sebbene privi di scorta, avevano il proprio elemento di difesa nel numero stesso delle unità che li componevano. Una serie di accorgimenti e di espedienti, quindi, che in parte affiancarono, implementandole, le tradizionali contromisure adottate per fra fronte alla corsa barbaresca, ed in parte rappresentarono soluzioni nuove, determinate dall’emergenza di dover affrontare un nemico pericoloso, difficile da scovare e, persino, da identificare. Soluzioni nel complesso improvvisate, e per questo in continua evoluzione, soggette a critiche e a valutazioni discordanti, poste in atto in un contesto di persistente sperimentazione, le quali non mancarono tuttavia di dare risultati, anche di un certo rilievo.

Genova e le marinerie del suo Dominio di fronte ai corsari di Pasquale Paoli (1755-1768)

BERI, EMILIANO
2011-01-01

Abstract

Negli decenni centrali del XVIII secolo (a partire dal 1729 fino al 1768) la neutrale ed imbelle Repubblica di Genova dovette affrontare circa quarant’anni pressoché ininterrotti di ribellione e guerre civili nell’appendice insulare del suo Dominio, il regno di Corsica. Fino alla metà degli anni Cinquanta le cosiddette “guerre di Corsica” (termine che ben esplica la natura molteplice delle sollevazioni e delle lotte intestine che scossero l’isola) rappresentarono un conflitto principalmente terrestre, in cui gli aspetti marittimi furono limitati al pattugliamento costiero (al fine di interdire il traffico dei contrabbandieri in affari coi ribelli), alle operazioni anfibie (di fondamentale importanza per garantire la mobilità delle truppe durante le operazioni di guerra, in forza delle condizioni di estrema debolezza del sistema viario isolano) e alle necessità logistiche dell’apparato militare genovese relativamente al trasporto di approvvigionamenti, denaro, dispacci e rincalzi. Dalla metà degli anni Cinquanta, e ancor di più dagli esordi degli anni Sessanta, la creazione dal nulla di una flotta corsara da parte del leader ribelle Pasquali Paoli proiettò, con forza, il conflitto sui mari. La presenza costante, e numericamente non trascurabile, dei corsari paolisti nel mar Tirreno e nel mar Ligure provocò inevitabilmente la reazione del governo genovese e delle marinerie delle due riviere; reazione che si esplicò in un variegato campionario di soluzioni aventi come scopo il controllo degli spazi marittimi e la protezione del traffico mercantile. Genova mobilitò le galere dello stuolo pubblico e un numero consistente di bastimenti mercantili armati, sia rivieraschi (brigantini e galeotte di Alassio, feluche e feluconi di Chiavari e Lerici, pinchi di Deiva e di altre località) che corsi (gondole, leudi e feluche bonifacine, bastiesi, calvesi ed aiaccine), in frequenti campagne anticorsare, pianificate o improvvisate sul momento, e di pattugliamento delle coste in cerca dei sempre più attivi contrabbandieri. Le marinerie delle riviere, da parte loro, cercarono di sottrarsi alla corsa paolista in primo luogo munendosi, legittimamente o meno, di bandiere e passaporti neutrali (napoletani, toscani, carraresi, massesi, gerosolimitani, sardi, pontifici, spagnoli, francesi ed inglesi); in secondo luogo dotando di artiglieria, quando possibile, i bastimenti di maggiori dimensioni (è il caso, ad esempio, dei pinchi di Laigueglia e di Deiva); in terzo luogo navigando in convogli protetti da bastimenti armati in pubblico servizio o anche, in assenza di questi ultimi, formandone autonomamente altri i quali, sebbene privi di scorta, avevano il proprio elemento di difesa nel numero stesso delle unità che li componevano. Una serie di accorgimenti e di espedienti, quindi, che in parte affiancarono, implementandole, le tradizionali contromisure adottate per fra fronte alla corsa barbaresca, ed in parte rappresentarono soluzioni nuove, determinate dall’emergenza di dover affrontare un nemico pericoloso, difficile da scovare e, persino, da identificare. Soluzioni nel complesso improvvisate, e per questo in continua evoluzione, soggette a critiche e a valutazioni discordanti, poste in atto in un contesto di persistente sperimentazione, le quali non mancarono tuttavia di dare risultati, anche di un certo rilievo.
2011
9788849831894
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/713384
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