Uno dei possibili obiettivi dell’analisi dell’architettura del passato è quello di riconoscere se, ed in quale misura, i diversi manufatti rispondano ad un modo di fare diffuso e condiviso, ossia a delle “regole”, spesso non scritte o, comunque, non esplicitate, ma di fatto utilizzate dai diversi ‘maestri’ impegnati nel settore edile. L’esame delle costruzioni antiche mostra come le cose non venissero quasi mai fatte “a caso”, pur in assenza dei saperi scientifici formalizzati a cui oggi ci appoggiamo. A sopperire a tale “mancanza” vi era infatti un solido sapere empirico, con proprie modalità di acquisizione e di trasmissione, non meno valido del sapere scientifico, come dimostrano l’arditezza e la lunga durata di molte costruzioni antiche. Lo studio dell’architettura del passato mostra inoltre come, spesso, anche nel campo delle scelte più squisitamente estetiche o formali, le soluzioni di ognuno trovassero sostegno e validità nella ripetizione e nell’imitazione, poiché proprio in esse trovava spazio la possibilità di variazione e l’originalità individuale e si esercitava il controllo degli esiti. La comparazione di molti casi documentati relativi a specifici aspetti od elementi della costruzione permette, per ognuno di essi, di riconoscere in modo oggettivo se esistessero o meno delle regole costruttive o formali, di definire quali esse fossero e di interrogarsi sulle motivazioni, tecniche, economiche o culturali, che possono avere influenzato le scelte compiute. Alla luce della più che ventennale esperienza della scuola genovese di archeologia dell’architettura il lavoro che segue intende illustrare tale percorso di ricerca, sia da un punto di vista metodologico, sia, soprattutto, tramite alcune esemplificazioni relative al costruire genovese di età moderna (dalla Premessa all’articolo)

Dalle analisi quantitative alla ricostruzione delle regole teoriche e pratiche del costruire storico

BOATO, ANNA
2005-01-01

Abstract

Uno dei possibili obiettivi dell’analisi dell’architettura del passato è quello di riconoscere se, ed in quale misura, i diversi manufatti rispondano ad un modo di fare diffuso e condiviso, ossia a delle “regole”, spesso non scritte o, comunque, non esplicitate, ma di fatto utilizzate dai diversi ‘maestri’ impegnati nel settore edile. L’esame delle costruzioni antiche mostra come le cose non venissero quasi mai fatte “a caso”, pur in assenza dei saperi scientifici formalizzati a cui oggi ci appoggiamo. A sopperire a tale “mancanza” vi era infatti un solido sapere empirico, con proprie modalità di acquisizione e di trasmissione, non meno valido del sapere scientifico, come dimostrano l’arditezza e la lunga durata di molte costruzioni antiche. Lo studio dell’architettura del passato mostra inoltre come, spesso, anche nel campo delle scelte più squisitamente estetiche o formali, le soluzioni di ognuno trovassero sostegno e validità nella ripetizione e nell’imitazione, poiché proprio in esse trovava spazio la possibilità di variazione e l’originalità individuale e si esercitava il controllo degli esiti. La comparazione di molti casi documentati relativi a specifici aspetti od elementi della costruzione permette, per ognuno di essi, di riconoscere in modo oggettivo se esistessero o meno delle regole costruttive o formali, di definire quali esse fossero e di interrogarsi sulle motivazioni, tecniche, economiche o culturali, che possono avere influenzato le scelte compiute. Alla luce della più che ventennale esperienza della scuola genovese di archeologia dell’architettura il lavoro che segue intende illustrare tale percorso di ricerca, sia da un punto di vista metodologico, sia, soprattutto, tramite alcune esemplificazioni relative al costruire genovese di età moderna (dalla Premessa all’articolo)
2005
9788889900024
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/238887
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