Tomaso Orsolino, nato a Ramponio in Val d’Intelvi, ma operante a Genova, ha preso parte – a partire dal 1628 – ad alcuni dei più importanti cantieri scultorei del primo Seicento lombardo. Questo contributo mira a mettere ordine all’interno della produzione dello scultore per la Certosa di Pavia, andando ad indagare con maggiore attenzione le numerose opere eseguite dall’artista per l’importante monastero in particolare tra l’arrivo in Lombardia (finalmente documentato con certezza al 1628) e la prima metà degli anni Trenta del secolo. Le relazioni strette con la grande pittura lombarda, esperita probabilmente prima dell’arrivo a Genova e senza dubbio aggiornate dopo, con il ritorno – da maestro ormai autonomo – nei cantieri pavesi, sono il filo sotteso all’evoluzione stilistica di quello che fu senza dubbio – nonostante la sfortuna critica vissuta anche in tempi recenti – uno dei principali attori della tarda maniera, in “odore” del nuovo linguaggio barocco, in terra lombarda. Non è un caso se, proprio da quella bottega così prolifica, emerse l’estroso scalpello di Ercole Ferrata, del quale – in questo lavoro – si provano ad individuare alcune delle prime tracce autonome precedenti il viaggio napoletano.
Tomaso Orsolino tra Pavia e la Certosa (1628-1635): precisazioni cronologiche e nuovi spunti per il ruolo di Ercole Ferrata,
Giacomo Montanari
2019-01-01
Abstract
Tomaso Orsolino, nato a Ramponio in Val d’Intelvi, ma operante a Genova, ha preso parte – a partire dal 1628 – ad alcuni dei più importanti cantieri scultorei del primo Seicento lombardo. Questo contributo mira a mettere ordine all’interno della produzione dello scultore per la Certosa di Pavia, andando ad indagare con maggiore attenzione le numerose opere eseguite dall’artista per l’importante monastero in particolare tra l’arrivo in Lombardia (finalmente documentato con certezza al 1628) e la prima metà degli anni Trenta del secolo. Le relazioni strette con la grande pittura lombarda, esperita probabilmente prima dell’arrivo a Genova e senza dubbio aggiornate dopo, con il ritorno – da maestro ormai autonomo – nei cantieri pavesi, sono il filo sotteso all’evoluzione stilistica di quello che fu senza dubbio – nonostante la sfortuna critica vissuta anche in tempi recenti – uno dei principali attori della tarda maniera, in “odore” del nuovo linguaggio barocco, in terra lombarda. Non è un caso se, proprio da quella bottega così prolifica, emerse l’estroso scalpello di Ercole Ferrata, del quale – in questo lavoro – si provano ad individuare alcune delle prime tracce autonome precedenti il viaggio napoletano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.