Nel trionfo di stucchi barocchi dell’Oratorio del Santissimo Rosario in Santa Cita, eseguiti da Giacomo Serpotta negli anni Ottanta dei Seicento, spiccano ancora oggi – ai piedi della monumentale tela di Carlo Maratta – due magnifici gruppi scultorei in marmo statuario, raffiguranti Putti in lotta con un’aquila e un leone. Sebbene appaiano oggi asserviti al ruolo di mensole ai lati del presbiterio, la ricostruzione delle diverse fasi della trasformazione dell’altare tra la fine del Seicento e l’Ottocento suggerisce di ipotizzare, per queste due opere, un ruolo all’interno della macchina d’altare originaria, oggi completamente scomparsa. Derubricati per decenni a interpretazioni dei putti del Serpotta da parte del cognato Gioacchino Vitagliano, le sculture esulano – però – dagli accenti stilistici dell’artista palermitano, invitando a una più attenta analisi del mercato mediterraneo dell’arte che – come aveva guardato a Roma per la pala d’altare – poteva chiamare in causa per le sculture d’altare altri centri d’importanza internazionale. Grazie a una approfondita indagine di carattere stilistico, le opere si rivelano essere – infatti – la probabile opera del talentuoso scultore genovese Bernardo Schiaffino, andando così ad arricchirne il catalogo e contribuendo ad aprire una importante finestra sulle potenziali relazioni tra Palermo e Genova sullo scorcio del Settecento.

Marmi genovesi a Palermo. Proposte per Bernardo Schiaffino

Giacomo Montanari
2021-01-01

Abstract

Nel trionfo di stucchi barocchi dell’Oratorio del Santissimo Rosario in Santa Cita, eseguiti da Giacomo Serpotta negli anni Ottanta dei Seicento, spiccano ancora oggi – ai piedi della monumentale tela di Carlo Maratta – due magnifici gruppi scultorei in marmo statuario, raffiguranti Putti in lotta con un’aquila e un leone. Sebbene appaiano oggi asserviti al ruolo di mensole ai lati del presbiterio, la ricostruzione delle diverse fasi della trasformazione dell’altare tra la fine del Seicento e l’Ottocento suggerisce di ipotizzare, per queste due opere, un ruolo all’interno della macchina d’altare originaria, oggi completamente scomparsa. Derubricati per decenni a interpretazioni dei putti del Serpotta da parte del cognato Gioacchino Vitagliano, le sculture esulano – però – dagli accenti stilistici dell’artista palermitano, invitando a una più attenta analisi del mercato mediterraneo dell’arte che – come aveva guardato a Roma per la pala d’altare – poteva chiamare in causa per le sculture d’altare altri centri d’importanza internazionale. Grazie a una approfondita indagine di carattere stilistico, le opere si rivelano essere – infatti – la probabile opera del talentuoso scultore genovese Bernardo Schiaffino, andando così ad arricchirne il catalogo e contribuendo ad aprire una importante finestra sulle potenziali relazioni tra Palermo e Genova sullo scorcio del Settecento.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/1069432
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