L’articolo esamina il decreto interministeriale adottato in piena emergenza pandemica nel quale, sorprendentemente, si dichiara che l’Italia non è un luogo sicuro per lo sbarco di naufraghi (i.e., migranti) recuperati al di fuori dalla zona SAR italiana da navi straniere. L’autore mette in luce le criticità di metodo e di merito di questo decreto, che da un lato non può operare una sospensione unilaterale di obblighi internazionali ratificati con legge dall’Italia; dall’altro lato, assume la vigenza di tali obblighi probabilmente ben oltre quanto in effetti previsto dalla Convenzione di Amburgo, anche considerando la particolare situazione del Mediterraneo e la conclamata inidoneità della Libia a essere qualificata come «luogo sicuro» ai sensi della Convenzione SAR. Dall’altro lato ancora, e comunque, contiene norme non persuasive sia nell’assunto secondo cui l’Italia non sarebbe un luogo sicuro, sia nei criteri individuati sul piano normativo per distinguere livelli diversi di “sicurezza dei luoghi” a seconda che i naufraghi siano soccorsi da navi italiane o in zona SAR italiana. Esclusa l’applicazione della Convenzione SAR nei termini assunti dal decreto interministeriale, l’articolo si sofferma quindi brevemente sulla “zona grigia” che si è determinata nel Mediterraneo a causa delle incertezze normative e della mancata assunzione dei rilevanti obblighi di diritto internazionale da parte degli Stati di bandiera delle navi delle ONG che recuperano i migranti, e offre una lettura – sempre critica ma quanto meno più pragmatica – della disciplina in commento, in sostanza quale “avvertimento preventivo” per le predette ONG e gli Stati di bandiera delle loro navi (specie se membri dell’Unione europea) a ridurre gli sbarchi sulle coste italiane

Il decreto interministeriale per gestire l’emergenza COVID-19 nell’ambito degli obblighi dell’Italia ai sensi della convenzione SAR: l’insostenibile “intermittenza” del luogo sicuro per i migranti diretti verso l’Italia

F. Munari
2020-01-01

Abstract

L’articolo esamina il decreto interministeriale adottato in piena emergenza pandemica nel quale, sorprendentemente, si dichiara che l’Italia non è un luogo sicuro per lo sbarco di naufraghi (i.e., migranti) recuperati al di fuori dalla zona SAR italiana da navi straniere. L’autore mette in luce le criticità di metodo e di merito di questo decreto, che da un lato non può operare una sospensione unilaterale di obblighi internazionali ratificati con legge dall’Italia; dall’altro lato, assume la vigenza di tali obblighi probabilmente ben oltre quanto in effetti previsto dalla Convenzione di Amburgo, anche considerando la particolare situazione del Mediterraneo e la conclamata inidoneità della Libia a essere qualificata come «luogo sicuro» ai sensi della Convenzione SAR. Dall’altro lato ancora, e comunque, contiene norme non persuasive sia nell’assunto secondo cui l’Italia non sarebbe un luogo sicuro, sia nei criteri individuati sul piano normativo per distinguere livelli diversi di “sicurezza dei luoghi” a seconda che i naufraghi siano soccorsi da navi italiane o in zona SAR italiana. Esclusa l’applicazione della Convenzione SAR nei termini assunti dal decreto interministeriale, l’articolo si sofferma quindi brevemente sulla “zona grigia” che si è determinata nel Mediterraneo a causa delle incertezze normative e della mancata assunzione dei rilevanti obblighi di diritto internazionale da parte degli Stati di bandiera delle navi delle ONG che recuperano i migranti, e offre una lettura – sempre critica ma quanto meno più pragmatica – della disciplina in commento, in sostanza quale “avvertimento preventivo” per le predette ONG e gli Stati di bandiera delle loro navi (specie se membri dell’Unione europea) a ridurre gli sbarchi sulle coste italiane
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