Un archivio è un semplice luogo di raccolta di documenti e fonti storiche o può diventare anche un'istituzione collettiva, che promuove una visione condivisa della storia? Chi sono gli autori storici, quali sono i narratori possibili di quell'esperienza unica che è stata il lungo Sessantotto italiano? Voci d'archivio tenta di dare una risposta a queste due domande che, nel caso dell'Archivio dei Movimenti di Genova, sono strettamente connesse tra loro. Lo studio combina il metodo della storia orale – un metodo nato nel Sessantotto, e che incarna perfettamente lo spirito dei tempi – con quello della storia pubblica, ancora ampiamente inesplorata in Italia, nel tentativo di indagare sull'esistenza di una memoria collettiva (alla Halbwachs) e condivisa del Sessantotto – senza dimenticare gli strumenti forniti dalla storia di genere per andare ad analizzare le testimonianze raccolte. L'indagine parte dai documenti dell'Archivio dei Movimenti, e si muove andando a intervistare i donatori dei fondi: sono gli historymakers del Sessantotto, quelli che la storia non l'hanno solo fatta, ma anche conservata. Questo triplice rapporto con gli eventi – testimoni diretti, conservatori e, infine, narratori – è il denominatore comune delle 23 persone intervistate nel libro, a cui è stato chiesto di raccontare la propria esperienza sessantottina, il motivo per cui hanno ritenuto che i documenti di questa storia fossero da conservare e, quindi, le modalità e i significati di questa conservazione. Ne risulta una costellazione di storie ed esperienze che vanno a costruire una memoria collettiva del Sessantotto: una storia che si distacca completamente dal concetto evenemenziale per divenire esperienziale. Si scopre così che il Sessantotto comincia con la propria partecipazione attiva alla vita politica, e finisce quando ci si discosta dalla militanza; che il terrorismo non è, contrariamente all'opinione comune, un prodotto (per quanto distorto) della contestazione, ma qualcosa che ne è completamente distaccato, perché nega l'elemento fondamentale dell'esperienza sessantottina, la collettività. È il femminismo a dare la chiave per comprendere quale sia l'approccio condiviso al Sessantotto: il personale è politico, l'esperienza individuale si pone all'interno di quella collettiva, il confine tra la propria storia e quella degli altri è talmente labile da scomparire. Lo sfondo di tutto questo è l'archivio: un archivio vivo, in cui i donatori dei fondi non siano alienati dai propri documenti, ma continuino a partecipare attivamente al flusso della storia. Una storia che li ha visti partecipare e conservare – una storia di cui è giusto che siano autori, dopo essere stati attori.

Voci d'archivio. La Storia Pubblica incontra il Sessantotto

Virginia Niri
2018-01-01

Abstract

Un archivio è un semplice luogo di raccolta di documenti e fonti storiche o può diventare anche un'istituzione collettiva, che promuove una visione condivisa della storia? Chi sono gli autori storici, quali sono i narratori possibili di quell'esperienza unica che è stata il lungo Sessantotto italiano? Voci d'archivio tenta di dare una risposta a queste due domande che, nel caso dell'Archivio dei Movimenti di Genova, sono strettamente connesse tra loro. Lo studio combina il metodo della storia orale – un metodo nato nel Sessantotto, e che incarna perfettamente lo spirito dei tempi – con quello della storia pubblica, ancora ampiamente inesplorata in Italia, nel tentativo di indagare sull'esistenza di una memoria collettiva (alla Halbwachs) e condivisa del Sessantotto – senza dimenticare gli strumenti forniti dalla storia di genere per andare ad analizzare le testimonianze raccolte. L'indagine parte dai documenti dell'Archivio dei Movimenti, e si muove andando a intervistare i donatori dei fondi: sono gli historymakers del Sessantotto, quelli che la storia non l'hanno solo fatta, ma anche conservata. Questo triplice rapporto con gli eventi – testimoni diretti, conservatori e, infine, narratori – è il denominatore comune delle 23 persone intervistate nel libro, a cui è stato chiesto di raccontare la propria esperienza sessantottina, il motivo per cui hanno ritenuto che i documenti di questa storia fossero da conservare e, quindi, le modalità e i significati di questa conservazione. Ne risulta una costellazione di storie ed esperienze che vanno a costruire una memoria collettiva del Sessantotto: una storia che si distacca completamente dal concetto evenemenziale per divenire esperienziale. Si scopre così che il Sessantotto comincia con la propria partecipazione attiva alla vita politica, e finisce quando ci si discosta dalla militanza; che il terrorismo non è, contrariamente all'opinione comune, un prodotto (per quanto distorto) della contestazione, ma qualcosa che ne è completamente distaccato, perché nega l'elemento fondamentale dell'esperienza sessantottina, la collettività. È il femminismo a dare la chiave per comprendere quale sia l'approccio condiviso al Sessantotto: il personale è politico, l'esperienza individuale si pone all'interno di quella collettiva, il confine tra la propria storia e quella degli altri è talmente labile da scomparire. Lo sfondo di tutto questo è l'archivio: un archivio vivo, in cui i donatori dei fondi non siano alienati dai propri documenti, ma continuino a partecipare attivamente al flusso della storia. Una storia che li ha visti partecipare e conservare – una storia di cui è giusto che siano autori, dopo essere stati attori.
2018
978-88-94943-23-8
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/956742
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