Isabella Andreini è l’icona, della Commedia dell’Arte (CdA) e del teatro in assoluto, che Vito Pandolfi interroga maggiormente e nelle forme più diverse nell’arco dei dodici anni che, a conti fatti, corrispondono al suo tramonto di regista. Tra il 1958 e il 1971 le dedica dapprima un racconto, subito inedito; ne fa ricavare poi una drammaturgia che mette in scena in piazza a San Gimignano (1959) e che riprende poi a Mantova, a Palazzo Ducale (1961); nel frattempo il racconto, complice forse l’editore, diventa un romanzo (1960); a distanza di tempo queste esperienze, nel loro insieme, suggeriscono al regista Franco Enriquez una nuova versione teatrale per il Teatro Olimpico di Vicenza (1971), cui Vito collabora forse solo come memoria storica (e sognatore). Un percorso “testamentario”, dunque, per il regista che nel dopoguerra aveva incarnato l’alternativa alla stabilità, per l’Indiana Jones degli archivi che con la CdA aveva istituito una nuova “archeologia del sapere”: fra piazza, monumento e infine teatro all’italiana (l’ultima versione dello spettacolo ha una breve tournée a partire dall’Alfieri di Torino), fra ricerca storica, letteratura e teatro, Isabella comica gelosa, dei teatranti mater dolorosa, è chiamata ad accogliere in sé le plurali e non sempre conciliabili valenze della CdA del dopoguerra italiano: libertà d’attore e poesia, protagonismo e collettivismo, teatro popolare e nazionale.
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Titolo: | Isabella mater dolorosa |
Autori: | |
Data di pubblicazione: | 2014 |
Handle: | http://hdl.handle.net/11567/854425 |
ISBN: | 978-88-7470-374-6 |
Appare nelle tipologie: | 02.01 - Contributo in volume (Capitolo o saggio) |