L’asportazione del 75% circa dell’intestino tenue determina di solito conseguenze serie sul piano nutrizionale. Attualmente si ritiene che sia sufficiente per la sopravvivenza la conservazione di almeno il 10% della lunghezza totale del tenue ovvero la conservazione degli ultimi 30-40 cm e della valvola ileociecale. I progressi della NA hanno un ruolo notevole nel trattamento della SIC : così se la NP da un lato consente in molti casi di superare i deficit idroelettrolitici e nutrizionali della fase critica post-operatoria aumentando il tasso della sopravvivenza, la nutrizione enterale dall' altro lato rappresenta una tappa intermedia veramente importante per il mantenimento in vita dei pazienti e per l'iniziale ripresa della funzione digestiva, offrendo all’intestino residuo la possibilità di un adattamento compensatorio, cui concorrono, oltre che una maggior esposizione del tenue residuo ad una maggiore quantità di nutrienti, anche le secrezioni biliari e pancreatiche, gli ormoni trofici, gli ormoni neurovascolari e biliopancreatici, le poliamine e altri fattori neuronali. Nonostante la più approfondita conoscenza dei fenomeni fisiopatologici, riesce ancora oggi difficile formulare una prognosi competente. L'esperienza maturata ci consente di affermare che la suddivisione della SIC nei classici 3 stadi ha un significato clinico-terapeutico solo approssimativo, dal momento che non risponde frequentemente alla realtà clinica del singolo paziente. Ogni paziente esula da schematismi rigorosi e costituisce pertanto un caso clinico a sé stante per quel che concerne la sintomatologia, la prognosi e la terapia. A tal proposito se oggi è possibile assicurare la vita nell'immediato postoperatorio, nella fase di adattamento il recupero dei malati comporta una fase critica di difficile gestione, cioè il passaggio dalla NP a quella enterale e non appena possibile orale. Gli alimenti sono infatti indispensabili per iniziare e mantenere i processi di rigenerazione e di ipertrofia delle cellule della mucosa intestinale (ipertrofia compensatoria), unici fattori che potranno condizionare una sopravvivenza accettabile non legata esclusivamente alla nutrizione parenterale anche se a domicilio. In conclusione il trattamento della sindrome dell’intestino corto deve iniziare al momento della pianificazione del primo intervento chirurgico, soprattutto per patologie che possono richiedere plurimi interventi chirurgici, come ad esempio si verifica spesso nella malattia di Crohn. Il trattamento dei pazienti con intestino corto dovrebbe essere individualizzato, poiché ogni paziente presenta diverse caratteristiche per quel che riguarda la diagnosi, la lunghezza dell’intestino residuo e le caratteristiche psicosociali. Un approccio multidisciplinare a questi pazienti tra i vari specialisti è necessario.

Sindrome da intestino corto. Fisiopatogenesi e trattamento.

SORIERO, DOMENICO;MASCHERINI, MATTEO;CASACCIA, MARCO;FORNARO, ROSARIO
2016-01-01

Abstract

L’asportazione del 75% circa dell’intestino tenue determina di solito conseguenze serie sul piano nutrizionale. Attualmente si ritiene che sia sufficiente per la sopravvivenza la conservazione di almeno il 10% della lunghezza totale del tenue ovvero la conservazione degli ultimi 30-40 cm e della valvola ileociecale. I progressi della NA hanno un ruolo notevole nel trattamento della SIC : così se la NP da un lato consente in molti casi di superare i deficit idroelettrolitici e nutrizionali della fase critica post-operatoria aumentando il tasso della sopravvivenza, la nutrizione enterale dall' altro lato rappresenta una tappa intermedia veramente importante per il mantenimento in vita dei pazienti e per l'iniziale ripresa della funzione digestiva, offrendo all’intestino residuo la possibilità di un adattamento compensatorio, cui concorrono, oltre che una maggior esposizione del tenue residuo ad una maggiore quantità di nutrienti, anche le secrezioni biliari e pancreatiche, gli ormoni trofici, gli ormoni neurovascolari e biliopancreatici, le poliamine e altri fattori neuronali. Nonostante la più approfondita conoscenza dei fenomeni fisiopatologici, riesce ancora oggi difficile formulare una prognosi competente. L'esperienza maturata ci consente di affermare che la suddivisione della SIC nei classici 3 stadi ha un significato clinico-terapeutico solo approssimativo, dal momento che non risponde frequentemente alla realtà clinica del singolo paziente. Ogni paziente esula da schematismi rigorosi e costituisce pertanto un caso clinico a sé stante per quel che concerne la sintomatologia, la prognosi e la terapia. A tal proposito se oggi è possibile assicurare la vita nell'immediato postoperatorio, nella fase di adattamento il recupero dei malati comporta una fase critica di difficile gestione, cioè il passaggio dalla NP a quella enterale e non appena possibile orale. Gli alimenti sono infatti indispensabili per iniziare e mantenere i processi di rigenerazione e di ipertrofia delle cellule della mucosa intestinale (ipertrofia compensatoria), unici fattori che potranno condizionare una sopravvivenza accettabile non legata esclusivamente alla nutrizione parenterale anche se a domicilio. In conclusione il trattamento della sindrome dell’intestino corto deve iniziare al momento della pianificazione del primo intervento chirurgico, soprattutto per patologie che possono richiedere plurimi interventi chirurgici, come ad esempio si verifica spesso nella malattia di Crohn. Il trattamento dei pazienti con intestino corto dovrebbe essere individualizzato, poiché ogni paziente presenta diverse caratteristiche per quel che riguarda la diagnosi, la lunghezza dell’intestino residuo e le caratteristiche psicosociali. Un approccio multidisciplinare a questi pazienti tra i vari specialisti è necessario.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/845771
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