La vigilanza è uno dei doveri che spettano al consiglio di amministrazione. Essa rappresenta uno degli aspetti più rilevanti del governo societario, se non forse quello più rilevante, se, in prima battuta, si tiene presente che essa è lo strumento a presidio della fiducia che i soggetti interessati alle sorti dell’impresa ripongono nella dirigenza della società e, in seconda battuta, se si considera che la fiducia è l’elemento indispensabile alla base di qualsiasi relazione asimmetrica. L’oggetto della vigilanza muta parzialmente a seconda del sistema: l’esperienza statunitense, che non solo rappresenta ormai per la nostra dottrina un riferimento costante ma che risulta avere anche esercitato una influenza non trascurabile verso la riforma del diritto societario nella concezione del ruolo del c.d.a., declina tradizionalmente la vigilanza nell’attività di supervisione che il board esercita verso il management. In concreto però, sia a livello di studio che di casistica, l’attenzione si è concentrata prevalentemente (anche se di recente la questione della posizione degli officers è salita alla ribalta, soprattutto nella giurisprudenza californiana) sul rapporto che sussiste tra gli inside e gli outside directors, con particolare riferimento a due aspetti: l’individuazione del punto ideale tra la funzione di monitoraggio e di consulenza che i secondi svolgono nei confronti dei primi ed il ruolo degli independent directors. In Europa l’idea di vigilanza si è concentrata soprattutto attorno agli assetti organizzativi della società, in scia all’esperienza inglese basata sul modello dei comitati di controllo all’interno del c.d.a., compiendo in pratica un percorso non troppo differente da quello degli USA. In sostanza, si avverte dalle due sponde dell’Atlantico una spinta concentrica dei vari sistemi verso un modello unitario di governo societario (la cui trasversalità si è in parte mostrata con l’avvento della crisi finanziaria, che ha evidenziato criticità comuni nei due continenti), sebbene poi il quadro di insieme perda uniformità nel momento in cui si passa a considerare il profilo della responsabilità, che le corti statali statunitensi tendono a contemplare tendenzialmente in presenza unicamente di condotte infedeli degli amministratori. Proprio il rapporto tra assetti e controlli, da un lato, e responsabilità degli amministratori, dall’altro, rappresenta oggi una delle tematiche al centro del dibattito nel panorama italiano. La riforma del diritto societario è intervenuta esplicitamente in entrambi gli ambiti, stabilendo il dovere del c.d.a. di strutturare l’organizzazione societaria in modo adeguato ed intervenendo sul profilo della responsabilità eliminando dal testo dell’art. 2392 c.c. il dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione. Le spinte provenienti da queste novità possono apparire come antitetiche, in considerazione del fatto che, da un lato, l’implementazione dei controlli interni è finalizzata a porre il c.d.a. in condizione di individuare e reagire ad eventuali storture nella gestione dell’impresa e nella conduzione della società, mentre l’espunzione del dovere di vigilanza in capo agli stessi amministratori sembra dall’altro tendere verso un modello di responsabilità meno severo. A dimostrazione delle difficoltà nell’interpretare la direzione impressa dalla riforma al dovere di vigilanza si contano in dottrina diverse posizione circa l’estensione di tale dovere che, inevitabilmente, incidono sull’ampiezza della responsabilità degli amministratori. In questa ricerca si analizzeranno le diverse interpretazioni elaborate dalla dottrina in tema di dovere di vigilanza e si verificherà l’orientamento assunto dalla giurisprudenza a riguardo. I filoni di interesse sono sostanzialmente due: il primo riguarda l’impatto della riforma sull’atteggiamento della giurisprudenza in tema di responsabilità degli amministratori per perdita del capitale e per mancato intervento finalizzato a ricapitalizzare o porre in liquidazione la società, filone verso il quale la riforma ha manifestamente espresso l’esigenza di correggere l’orientamento che era maturato sotto il codice del 1942 che si era cristallizzato attorno all’idea per cui gli amministratori deleganti erano considerati alla stregua di soggetti obbligati oggettivamente per gli illeciti compiuti dai delegati. Il secondo riguarda la casistica in tema di inadeguatezza dei controlli interni (sviluppatasi principalmente in ambito del d.lgs. 231/2001).

Il dovere di vigilanza degli amministratori di S.p.A.: il ruolo degli amministratori deleganti e la loro responsabilità

PERUZZO, GIAN GIACOMO
2014-01-01

Abstract

La vigilanza è uno dei doveri che spettano al consiglio di amministrazione. Essa rappresenta uno degli aspetti più rilevanti del governo societario, se non forse quello più rilevante, se, in prima battuta, si tiene presente che essa è lo strumento a presidio della fiducia che i soggetti interessati alle sorti dell’impresa ripongono nella dirigenza della società e, in seconda battuta, se si considera che la fiducia è l’elemento indispensabile alla base di qualsiasi relazione asimmetrica. L’oggetto della vigilanza muta parzialmente a seconda del sistema: l’esperienza statunitense, che non solo rappresenta ormai per la nostra dottrina un riferimento costante ma che risulta avere anche esercitato una influenza non trascurabile verso la riforma del diritto societario nella concezione del ruolo del c.d.a., declina tradizionalmente la vigilanza nell’attività di supervisione che il board esercita verso il management. In concreto però, sia a livello di studio che di casistica, l’attenzione si è concentrata prevalentemente (anche se di recente la questione della posizione degli officers è salita alla ribalta, soprattutto nella giurisprudenza californiana) sul rapporto che sussiste tra gli inside e gli outside directors, con particolare riferimento a due aspetti: l’individuazione del punto ideale tra la funzione di monitoraggio e di consulenza che i secondi svolgono nei confronti dei primi ed il ruolo degli independent directors. In Europa l’idea di vigilanza si è concentrata soprattutto attorno agli assetti organizzativi della società, in scia all’esperienza inglese basata sul modello dei comitati di controllo all’interno del c.d.a., compiendo in pratica un percorso non troppo differente da quello degli USA. In sostanza, si avverte dalle due sponde dell’Atlantico una spinta concentrica dei vari sistemi verso un modello unitario di governo societario (la cui trasversalità si è in parte mostrata con l’avvento della crisi finanziaria, che ha evidenziato criticità comuni nei due continenti), sebbene poi il quadro di insieme perda uniformità nel momento in cui si passa a considerare il profilo della responsabilità, che le corti statali statunitensi tendono a contemplare tendenzialmente in presenza unicamente di condotte infedeli degli amministratori. Proprio il rapporto tra assetti e controlli, da un lato, e responsabilità degli amministratori, dall’altro, rappresenta oggi una delle tematiche al centro del dibattito nel panorama italiano. La riforma del diritto societario è intervenuta esplicitamente in entrambi gli ambiti, stabilendo il dovere del c.d.a. di strutturare l’organizzazione societaria in modo adeguato ed intervenendo sul profilo della responsabilità eliminando dal testo dell’art. 2392 c.c. il dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione. Le spinte provenienti da queste novità possono apparire come antitetiche, in considerazione del fatto che, da un lato, l’implementazione dei controlli interni è finalizzata a porre il c.d.a. in condizione di individuare e reagire ad eventuali storture nella gestione dell’impresa e nella conduzione della società, mentre l’espunzione del dovere di vigilanza in capo agli stessi amministratori sembra dall’altro tendere verso un modello di responsabilità meno severo. A dimostrazione delle difficoltà nell’interpretare la direzione impressa dalla riforma al dovere di vigilanza si contano in dottrina diverse posizione circa l’estensione di tale dovere che, inevitabilmente, incidono sull’ampiezza della responsabilità degli amministratori. In questa ricerca si analizzeranno le diverse interpretazioni elaborate dalla dottrina in tema di dovere di vigilanza e si verificherà l’orientamento assunto dalla giurisprudenza a riguardo. I filoni di interesse sono sostanzialmente due: il primo riguarda l’impatto della riforma sull’atteggiamento della giurisprudenza in tema di responsabilità degli amministratori per perdita del capitale e per mancato intervento finalizzato a ricapitalizzare o porre in liquidazione la società, filone verso il quale la riforma ha manifestamente espresso l’esigenza di correggere l’orientamento che era maturato sotto il codice del 1942 che si era cristallizzato attorno all’idea per cui gli amministratori deleganti erano considerati alla stregua di soggetti obbligati oggettivamente per gli illeciti compiuti dai delegati. Il secondo riguarda la casistica in tema di inadeguatezza dei controlli interni (sviluppatasi principalmente in ambito del d.lgs. 231/2001).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/811761
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