Nel primo saggio, Il tempo della musica, del 2002, si affronta succintamente il concetto di tempo, così come è stato valutato nel corso del pensiero occidentale. L’esistere umano è, secondo il Nostro, caratterizzato da un continuum che si presenta come movimento. Tempo e spazio diventano quindi cognitivamente percepiti dall’uomo in un “tutto unico”, ma nel saggio si evidenziano anche i processi cognitivi che caratterizzano sia la percezione dello spazio che quella del tempo, anche quando appaiono separate fra loro. Nel secondo contributo, Organizzazione dei suoni e patterns neuronali, del 2003, si affronta, sempre brevemente, il rapporto che l’umanità intera ha sviluppato con il mondo dei suoni, siano essi definibili come naturali oppure culturali. Da questo intimo e condiviso rapporto è nata la musica, anche nelle sue differenze culturali e geografiche, oltre che sociali. Queste circostanze sono entrate nella memoria neuronale, grazie ad atteggiamenti comportamentali che nella storia evolutiva umana si sono strutturati cognitivamente. Nasce così una ancora presente interpretazione sonora della natura. In questo modo, come dimostra il saggio, si sono attivate nel corso della storia umana modelli neuronali legati al suono che hanno dato origine alla codificazione dei suoni sotto forma di musica. Grazie a queste configurazioni cognitive, ogni essere umano può gestire con la musica le proprie emozioni, spesso non comunicabili attraverso il normale linguaggio parlato oppure scritto. Nel terzo Saggio, Identità globocentrica. Una questione di tempo e movimento, del 2004, il concetto centrale è l’identità. La sua percezione si è fatta oggi più che mai importante per ciascuno di noi, poiché viviamo in una società globocentrica. Oggi i cambiamenti si presentano sempre più numerosi e repentini, e si impone una rivisitazione del termine cultura inteso in senso antropologico. Ora il sentimento di identità si collega alla percezione del tempo e del cambiamento per cui lo spazio neuronale cognitivo, culturalmente connotato, deve essere disponibile a nuovi percorsi. In questo contesto l’importanza della comunicazione verbale è evidente poiché l’atto linguistico favorisce l’identità temporale dei propri membri e la rappresentazione di se stessi nella cultura di appartenenza. Il cervello richiede nella percezione della realtà una costanza cognitiva poiché l’imprevedibilità e la casualità negli eventi del mondo produce paura e sgomento. Nel quarto saggio, Il miele delle api, del 2005, si propone di ragionare sulla formazione delle idee paragonate qui al “miele del nostro cervello” e di individuare la ragione della loro importanza per gli esseri umani. Si riflette sull’attività del pensare e in particolare ci si domanda se può essere considerata spontanea o frutto di apprendimento e successive modificazioni. Poco si fa per insegnare un metodo di apprendimento. Come spesso accade nella scuola si riempiono cervelli invece di lavorare per fornire strumenti di autoformazione e di crescita personale. Su questi temi si disquisisce in questo saggio e l’argomento è considerato da più punti di vista, ad esempio come filosofi diversi affrontano il problema da un punto di vista generale. Nello specifico, si analizzano gli aspetti riguardanti la logica del pensiero. Infine si considera il ruolo delle idee in un tempo in cui questa sembra una produzione sotto tono. Nel quinto saggio, Lo spazio della differenza. Ovvero per una Antropologia della mente, del 2007, il discorso sul termine Chaos contrapposto all’Antropos costituisce il filo conduttore del contributo. Se si considera l’esistenza una interminabile costruzione dal semplice al complesso, occorre, dichiara l’autore, domandarsi che cosa fa di un cervello una mente umana e come l’uomo elabora il pensiero scientifico e politico. Il pensiero scientifico è ciò che consente la conoscenza intesa come spinta che pone l’uomo nella condizione di interpretare la propria realtà. Affermare la realtà di una cosa equivale a sottolineare il legame personale, cognitivamente ed emotivamente stabilito con essa. Ma quando l’angoscia ci invade di fronte alla precarietà della realtà è possibile lenirla attraverso l’osservazione della propria realtà sulla quale esercitare il dominio intellettuale. Nel sesto saggio, Umana Mente. Per diventare ciò che siamo, del 2008, il discorso verte sul simbolo come è inteso da Jung, vale a dire come attività spontanea, connaturata dell’uomo e non riconducibile al problema della repressione delle pulsioni istintuali che si ripresenta nel sogno, come direbbe Sigmund Freud. Infatti, il simbolo e il suo utilizzo indicano un dato antropologico globale perché il simbolo nasce in ambito culturale. Esiste uno stretto rapporto tra simboli e sogno. Quest’ultimo spesso rappresenta la realizzazione di ciò che nella realtà è impraticabile per motivi diversi. I sogni irrealizzabili rimangono spesso in noi come sogni “ad occhi aperti”. Quando non è più possibile negoziare e mediare l’irrealizzabilità non rimane che “diventare ciò che siamo” o meglio ciò che crediamo di essere, rappresentando noi stessi teatralmente ma in modo virtuale, vale a dire attraverso i mezzi che ci offre la moderna tecnologia: web, blogs, chat, mails. Nel settimo saggio, Anima cerebrale, del 2008 e che dà il titolo all’intera raccolta qui presentata, il punto nodale sta nell’importanza attribuita al pensare comune. Infatti, nel pensare comune e condiviso sta il fondamento dell’etica. Virtù, educazione e coscienza scaturiscono dalla dialettica del linguaggio condiviso che porta alla conoscenza. L’anima cerebrale è dunque la naturale disponibilità neuronale della specie umana al ragionamento, al valutare secondo natura e cultura. Vivere è vivere il bene secondo virtù e si esprime attraverso il perseguimento della giusta misura. Proprio recuperando il nostro essere persone in giusta misura dimostriamo umanamente e divinamente di essere “nell’infinito”. L’ottavo ed ultimo saggio dal titolo, Il cielo dentro, del 2009, prende in esame un tema essenziale: lo stretto rapporto tra musica ed etica. Il contributo costituisce la comunicazione presentata al Congresso Internazionale sulla Psicologia nel XXI secolo tenutosi in Messico nell’aprile del 2009. In questo contributo si sottolinea il valore dello studio della musica dal punto di vista cognitivo, artistico, ma tenendo conto che in questo ambito sono compresi comportamenti culturalmente accettati e veicolanti valori etici. Altro aspetto di importanza cruciale è certamente l’universalità del linguaggio musicale che tuttavia nella sua universalità rispetta “il locale”. Di questo dovrebbero tener conto studiosi, intellettuali e uomini politici. Quindi, il punto centrale del discorso è che sostenere l’importanza della musica per l’esercizio di una cittadinanza etica globale significa attribuirle una valenza culturale assolutamente positiva.

L'anima cerebrale

BERTIROTTI, ALESSANDRO
2009-01-01

Abstract

Nel primo saggio, Il tempo della musica, del 2002, si affronta succintamente il concetto di tempo, così come è stato valutato nel corso del pensiero occidentale. L’esistere umano è, secondo il Nostro, caratterizzato da un continuum che si presenta come movimento. Tempo e spazio diventano quindi cognitivamente percepiti dall’uomo in un “tutto unico”, ma nel saggio si evidenziano anche i processi cognitivi che caratterizzano sia la percezione dello spazio che quella del tempo, anche quando appaiono separate fra loro. Nel secondo contributo, Organizzazione dei suoni e patterns neuronali, del 2003, si affronta, sempre brevemente, il rapporto che l’umanità intera ha sviluppato con il mondo dei suoni, siano essi definibili come naturali oppure culturali. Da questo intimo e condiviso rapporto è nata la musica, anche nelle sue differenze culturali e geografiche, oltre che sociali. Queste circostanze sono entrate nella memoria neuronale, grazie ad atteggiamenti comportamentali che nella storia evolutiva umana si sono strutturati cognitivamente. Nasce così una ancora presente interpretazione sonora della natura. In questo modo, come dimostra il saggio, si sono attivate nel corso della storia umana modelli neuronali legati al suono che hanno dato origine alla codificazione dei suoni sotto forma di musica. Grazie a queste configurazioni cognitive, ogni essere umano può gestire con la musica le proprie emozioni, spesso non comunicabili attraverso il normale linguaggio parlato oppure scritto. Nel terzo Saggio, Identità globocentrica. Una questione di tempo e movimento, del 2004, il concetto centrale è l’identità. La sua percezione si è fatta oggi più che mai importante per ciascuno di noi, poiché viviamo in una società globocentrica. Oggi i cambiamenti si presentano sempre più numerosi e repentini, e si impone una rivisitazione del termine cultura inteso in senso antropologico. Ora il sentimento di identità si collega alla percezione del tempo e del cambiamento per cui lo spazio neuronale cognitivo, culturalmente connotato, deve essere disponibile a nuovi percorsi. In questo contesto l’importanza della comunicazione verbale è evidente poiché l’atto linguistico favorisce l’identità temporale dei propri membri e la rappresentazione di se stessi nella cultura di appartenenza. Il cervello richiede nella percezione della realtà una costanza cognitiva poiché l’imprevedibilità e la casualità negli eventi del mondo produce paura e sgomento. Nel quarto saggio, Il miele delle api, del 2005, si propone di ragionare sulla formazione delle idee paragonate qui al “miele del nostro cervello” e di individuare la ragione della loro importanza per gli esseri umani. Si riflette sull’attività del pensare e in particolare ci si domanda se può essere considerata spontanea o frutto di apprendimento e successive modificazioni. Poco si fa per insegnare un metodo di apprendimento. Come spesso accade nella scuola si riempiono cervelli invece di lavorare per fornire strumenti di autoformazione e di crescita personale. Su questi temi si disquisisce in questo saggio e l’argomento è considerato da più punti di vista, ad esempio come filosofi diversi affrontano il problema da un punto di vista generale. Nello specifico, si analizzano gli aspetti riguardanti la logica del pensiero. Infine si considera il ruolo delle idee in un tempo in cui questa sembra una produzione sotto tono. Nel quinto saggio, Lo spazio della differenza. Ovvero per una Antropologia della mente, del 2007, il discorso sul termine Chaos contrapposto all’Antropos costituisce il filo conduttore del contributo. Se si considera l’esistenza una interminabile costruzione dal semplice al complesso, occorre, dichiara l’autore, domandarsi che cosa fa di un cervello una mente umana e come l’uomo elabora il pensiero scientifico e politico. Il pensiero scientifico è ciò che consente la conoscenza intesa come spinta che pone l’uomo nella condizione di interpretare la propria realtà. Affermare la realtà di una cosa equivale a sottolineare il legame personale, cognitivamente ed emotivamente stabilito con essa. Ma quando l’angoscia ci invade di fronte alla precarietà della realtà è possibile lenirla attraverso l’osservazione della propria realtà sulla quale esercitare il dominio intellettuale. Nel sesto saggio, Umana Mente. Per diventare ciò che siamo, del 2008, il discorso verte sul simbolo come è inteso da Jung, vale a dire come attività spontanea, connaturata dell’uomo e non riconducibile al problema della repressione delle pulsioni istintuali che si ripresenta nel sogno, come direbbe Sigmund Freud. Infatti, il simbolo e il suo utilizzo indicano un dato antropologico globale perché il simbolo nasce in ambito culturale. Esiste uno stretto rapporto tra simboli e sogno. Quest’ultimo spesso rappresenta la realizzazione di ciò che nella realtà è impraticabile per motivi diversi. I sogni irrealizzabili rimangono spesso in noi come sogni “ad occhi aperti”. Quando non è più possibile negoziare e mediare l’irrealizzabilità non rimane che “diventare ciò che siamo” o meglio ciò che crediamo di essere, rappresentando noi stessi teatralmente ma in modo virtuale, vale a dire attraverso i mezzi che ci offre la moderna tecnologia: web, blogs, chat, mails. Nel settimo saggio, Anima cerebrale, del 2008 e che dà il titolo all’intera raccolta qui presentata, il punto nodale sta nell’importanza attribuita al pensare comune. Infatti, nel pensare comune e condiviso sta il fondamento dell’etica. Virtù, educazione e coscienza scaturiscono dalla dialettica del linguaggio condiviso che porta alla conoscenza. L’anima cerebrale è dunque la naturale disponibilità neuronale della specie umana al ragionamento, al valutare secondo natura e cultura. Vivere è vivere il bene secondo virtù e si esprime attraverso il perseguimento della giusta misura. Proprio recuperando il nostro essere persone in giusta misura dimostriamo umanamente e divinamente di essere “nell’infinito”. L’ottavo ed ultimo saggio dal titolo, Il cielo dentro, del 2009, prende in esame un tema essenziale: lo stretto rapporto tra musica ed etica. Il contributo costituisce la comunicazione presentata al Congresso Internazionale sulla Psicologia nel XXI secolo tenutosi in Messico nell’aprile del 2009. In questo contributo si sottolinea il valore dello studio della musica dal punto di vista cognitivo, artistico, ma tenendo conto che in questo ambito sono compresi comportamenti culturalmente accettati e veicolanti valori etici. Altro aspetto di importanza cruciale è certamente l’universalità del linguaggio musicale che tuttavia nella sua universalità rispetta “il locale”. Di questo dovrebbero tener conto studiosi, intellettuali e uomini politici. Quindi, il punto centrale del discorso è che sostenere l’importanza della musica per l’esercizio di una cittadinanza etica globale significa attribuirle una valenza culturale assolutamente positiva.
2009
978-88-7796-599-8
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/806651
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