Lavorare sul corpo significa agire sui confini identitari. In un’epoca di grande incertezza, infatti, il corpo è sempre più utilizzato per scrivere la propria soggettività, definire le proprie appartenenze, comunicare il proprio disagio. Un corpo frontiera tra natura e cultura, collettore e specchio di una molteplicità di codici in transito che, lasciando aperta la possibilità di scelta, consente di accordarsi con la liquidità contemporanea. Si può vestire il corpo per interpretare le diverse scene del quotidiano, spogliarlo per riscrivere quelle caratteristiche che, attraverso le forme, segnano i nostri destini sociali. Si può tentare di liberarsi dal corpo vivendo in un universo virtuale attraverso la finzione e la speranza di corpo virtuale Si può nascondere il corpo dietro uno chador e vivere questa scelta come espressione di antagonismo e occasione di ridefinizione di una soggettività confinata nel limite. Si può mascherare il corpo attraverso una malattia che, se accreditata socialmente, può divenire rifugio per il disagio identitario. Ma tutto questo è possibile a condizione di utilizzare codici culturalmente appropriati. Le cornici corporee che organizzano la nostra esperienza, infatti, incarnano un’epoca, o meglio la propria stagione politica, con le sue gerarchie (comprese quelle di genere) le sue retoriche e le sue narrazioni; narrazioni che passano anche attravesrso l’arte e l’architettura. Perché le pratiche sul corpo siano lavoro sull’identità, tuttavia, è necessario passare dall’avere all’essere corpo e riappropriarsi, quindi, dell’unico territorio che nella società dei consumi ci appartiene veramente.

Introduzione ai Lavori...in corpo

STAGI, LUISA
2010-01-01

Abstract

Lavorare sul corpo significa agire sui confini identitari. In un’epoca di grande incertezza, infatti, il corpo è sempre più utilizzato per scrivere la propria soggettività, definire le proprie appartenenze, comunicare il proprio disagio. Un corpo frontiera tra natura e cultura, collettore e specchio di una molteplicità di codici in transito che, lasciando aperta la possibilità di scelta, consente di accordarsi con la liquidità contemporanea. Si può vestire il corpo per interpretare le diverse scene del quotidiano, spogliarlo per riscrivere quelle caratteristiche che, attraverso le forme, segnano i nostri destini sociali. Si può tentare di liberarsi dal corpo vivendo in un universo virtuale attraverso la finzione e la speranza di corpo virtuale Si può nascondere il corpo dietro uno chador e vivere questa scelta come espressione di antagonismo e occasione di ridefinizione di una soggettività confinata nel limite. Si può mascherare il corpo attraverso una malattia che, se accreditata socialmente, può divenire rifugio per il disagio identitario. Ma tutto questo è possibile a condizione di utilizzare codici culturalmente appropriati. Le cornici corporee che organizzano la nostra esperienza, infatti, incarnano un’epoca, o meglio la propria stagione politica, con le sue gerarchie (comprese quelle di genere) le sue retoriche e le sue narrazioni; narrazioni che passano anche attravesrso l’arte e l’architettura. Perché le pratiche sul corpo siano lavoro sull’identità, tuttavia, è necessario passare dall’avere all’essere corpo e riappropriarsi, quindi, dell’unico territorio che nella società dei consumi ci appartiene veramente.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/304327
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