Lo scritto, inserito in un volume dedicato ai problemi giuridici della retribuzione, affronta la dibattuta questione della parità di trattamento retributiva. Il tema può apparire a prima vista demodé, dato che la Corte di Cassazione ormai da tempo ripete che nel rapporto di lavoro subordinato di diritto privato non opera il principio della parità di trattamento. Ad una analisi più attenta emergono tuttavia elementi di perdurante interesse. Riflettere intorno alla parità di trattamento significa infatti confrontarsi con gli snodi teorici che da sempre stanno al crocevia del dibattito giuslavoristico: il rapporto tra contratto di lavoro e organizzazione; il grado di immunità riconosciuto all’autonomia collettiva; l’estensione del controllo giudiziario sull’esercizio dei poteri del datore di lavoro. Significa inoltre misurarsi con questioni di respiro più generale: l’equilibrio tra eguaglianza e autonomia contrattuale (collettiva e individuale) e tra libertà di iniziativa economica e protezione della dignità umana; il ruolo giocato dalle clausole generali di buona fede e correttezza quali veicoli di adeguamento dell’ordinamento a principi costituzionali; il problema della diretta applicabilità delle norme costituzionali nei rapporti interprivati; il rapporto tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale. Dopo avere affrontato i problemi definitori e individuato l'oggetto dell'indagine, la trattazione si concentra sulle teorie dottrinali elaborate in materia di parità di trattamento, verificandone il riflesso nella produzione giurisprudenziale. All'esito della disamina, l'autore osserva che la vicenda giurisprudenziale della parità di trattamento è stata costellata da una serie di sconfitte. Ciò non significa tuttavia che il nostro ordinamento non sia profondamente caratterizzato dal principio di eguaglianza. L’innegabile insuccesso delle teorie sulla parità di trattamento è stato almeno in parte compensato dall’espansione del diritto antidiscriminatorio, che, tra l’altro, ha il non trascurabile vantaggio di essere esente dal difetto, comunemente addebitato alla parità di trattamento, di introdurre gradi eccessivi di discrezionalità giudiziale. L'autore osserva infine come attraverso l'espansione del diritto antidiscriminatorio non si andrebbe comunque oltre la prospettiva di sanzionare le lesioni che riguardino profili di differenziazione esplicitamente qualificati dal legislatore come vietati, senza raggiungere i risultati parificanti propri della regola di parità di trattamento. L’attribuzione ingiustificata ad un lavoratore di un determinato beneficio non potrebbe comunque costituire titolo per assegnare al lavoratore che si trovi nell’identica posizione il diritto a ottenere lo stesso beneficio, in assenza di prova del carattere discriminatorio della differenziazione.

La parità di trattamento a fini retributivi

NOVELLA, MARCO
2012-01-01

Abstract

Lo scritto, inserito in un volume dedicato ai problemi giuridici della retribuzione, affronta la dibattuta questione della parità di trattamento retributiva. Il tema può apparire a prima vista demodé, dato che la Corte di Cassazione ormai da tempo ripete che nel rapporto di lavoro subordinato di diritto privato non opera il principio della parità di trattamento. Ad una analisi più attenta emergono tuttavia elementi di perdurante interesse. Riflettere intorno alla parità di trattamento significa infatti confrontarsi con gli snodi teorici che da sempre stanno al crocevia del dibattito giuslavoristico: il rapporto tra contratto di lavoro e organizzazione; il grado di immunità riconosciuto all’autonomia collettiva; l’estensione del controllo giudiziario sull’esercizio dei poteri del datore di lavoro. Significa inoltre misurarsi con questioni di respiro più generale: l’equilibrio tra eguaglianza e autonomia contrattuale (collettiva e individuale) e tra libertà di iniziativa economica e protezione della dignità umana; il ruolo giocato dalle clausole generali di buona fede e correttezza quali veicoli di adeguamento dell’ordinamento a principi costituzionali; il problema della diretta applicabilità delle norme costituzionali nei rapporti interprivati; il rapporto tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale. Dopo avere affrontato i problemi definitori e individuato l'oggetto dell'indagine, la trattazione si concentra sulle teorie dottrinali elaborate in materia di parità di trattamento, verificandone il riflesso nella produzione giurisprudenziale. All'esito della disamina, l'autore osserva che la vicenda giurisprudenziale della parità di trattamento è stata costellata da una serie di sconfitte. Ciò non significa tuttavia che il nostro ordinamento non sia profondamente caratterizzato dal principio di eguaglianza. L’innegabile insuccesso delle teorie sulla parità di trattamento è stato almeno in parte compensato dall’espansione del diritto antidiscriminatorio, che, tra l’altro, ha il non trascurabile vantaggio di essere esente dal difetto, comunemente addebitato alla parità di trattamento, di introdurre gradi eccessivi di discrezionalità giudiziale. L'autore osserva infine come attraverso l'espansione del diritto antidiscriminatorio non si andrebbe comunque oltre la prospettiva di sanzionare le lesioni che riguardino profili di differenziazione esplicitamente qualificati dal legislatore come vietati, senza raggiungere i risultati parificanti propri della regola di parità di trattamento. L’attribuzione ingiustificata ad un lavoratore di un determinato beneficio non potrebbe comunque costituire titolo per assegnare al lavoratore che si trovi nell’identica posizione il diritto a ottenere lo stesso beneficio, in assenza di prova del carattere discriminatorio della differenziazione.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/297741
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