Il Dialogus miraculorum, monumentale silloge di racconti edificanti composta dal cistercense Cesario di Heisterbach fra il 1219 e il 1223, consta di 746 exempla suddivisi in dodici sezioni dedicata ognuna a un tema specifico: la loro successione vorrebbe tracciare il percorso ideale dell’evoluzione spirituale di un buon cristiano, dall’auspicata conversione alla vita claustrale fino alla morte e alla diversa sorte che può essere riservata all’anima nell’aldilà. Si propone qui il testo della distinctio V, dedicata ai demòni: lungi dall’affrontare i grandi quesiti che la teologia del tempo si poneva sul ruolo di Satana nel piano della creazione e sull’essenza ontologica del male, essa si presenta come una trattazione nel complesso organica e sistematica intesa a definire una casistica di carattere fenomenologico, una sorta di repertorio particolareggiato delle insidie che costantemente minacciano l’esistenza dell’uomo ostacolando il suo cammino verso la salvezza. Ma ciò che rende forse più interessanti, agli occhi del lettore moderno, le figure diaboliche che popolano gli apologhi di Cesario è il loro partecipare in larga misura di una tradizione folclorica non ancora pienamente assimilata — e definitivamente snaturata — dalla cultura ‘ufficiale’: vediamo così convivere in essi tratti ereditati dalle fonti bibliche o evangeliche, e motivi di derivazione patristica, unitamente ai caratteri che gli attribuiva la gente comune sulla scorta di credenze sopravvissute a una catechesi il più delle volte frettolosa e superficiale. Conservando qualità e attributi in seguito rifiutati dalla Chiesa in quanto non pienamente conformi alla propria ideologia, i daemones del Dialogus hanno dunque l’innegabile pregio di offrire un punto d’osservazione privilegiato rispetto all’evoluzione a cui è soggetta la rappresentazione del Maligno nel corso del medioevo prima di fissarsi, attorno al XIV secolo, nelle forme tutt’oggi conosciute.

Cesario di Heisterbach, Sui demoni (De daemonibus), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999

BARILLARI, MAURA SONIA
1999-01-01

Abstract

Il Dialogus miraculorum, monumentale silloge di racconti edificanti composta dal cistercense Cesario di Heisterbach fra il 1219 e il 1223, consta di 746 exempla suddivisi in dodici sezioni dedicata ognuna a un tema specifico: la loro successione vorrebbe tracciare il percorso ideale dell’evoluzione spirituale di un buon cristiano, dall’auspicata conversione alla vita claustrale fino alla morte e alla diversa sorte che può essere riservata all’anima nell’aldilà. Si propone qui il testo della distinctio V, dedicata ai demòni: lungi dall’affrontare i grandi quesiti che la teologia del tempo si poneva sul ruolo di Satana nel piano della creazione e sull’essenza ontologica del male, essa si presenta come una trattazione nel complesso organica e sistematica intesa a definire una casistica di carattere fenomenologico, una sorta di repertorio particolareggiato delle insidie che costantemente minacciano l’esistenza dell’uomo ostacolando il suo cammino verso la salvezza. Ma ciò che rende forse più interessanti, agli occhi del lettore moderno, le figure diaboliche che popolano gli apologhi di Cesario è il loro partecipare in larga misura di una tradizione folclorica non ancora pienamente assimilata — e definitivamente snaturata — dalla cultura ‘ufficiale’: vediamo così convivere in essi tratti ereditati dalle fonti bibliche o evangeliche, e motivi di derivazione patristica, unitamente ai caratteri che gli attribuiva la gente comune sulla scorta di credenze sopravvissute a una catechesi il più delle volte frettolosa e superficiale. Conservando qualità e attributi in seguito rifiutati dalla Chiesa in quanto non pienamente conformi alla propria ideologia, i daemones del Dialogus hanno dunque l’innegabile pregio di offrire un punto d’osservazione privilegiato rispetto all’evoluzione a cui è soggetta la rappresentazione del Maligno nel corso del medioevo prima di fissarsi, attorno al XIV secolo, nelle forme tutt’oggi conosciute.
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