Il saggio si propone di mostrare la rilevanza nel pensiero di Kant di un attività mentale inconscia che comprende processi ascrivibili all’intelletto, per poi porre il problema della relazione tra questa dimensione inconscia di attività intellettuale e la caratterizzazione dell’intelletto come fondato sull’autocoscienza trascendentale. La lettura congiunta di queste due dimensioni porta alla chiarificazione di molti equivoci interpretativi e alla individuazione di significative conseguenze teoriche. 1) la prima parte del saggio (§§ 1-3) mostra la presenza e la rilevanza, nonostante una prevalente vulgata esegetica in senso contrario e una diffusa disattenzione in merito, di una teoria kantiana dell’attività inconscia della mente, che prevede una articolazione di essa in più dimensioni e livelli, fino a comprendere anche le forme più complesse di attività mentale, e in particolare quella intellettuale. Il ruolo della concezione kantiana viene evidenziato anche in rapporto ai suoi più immediati predecessori nell’elaborazione dell’idea di “dunkle Vorstellungen”, in particolare Christian Wolff, Alexander Gottlieb Baumgarten e Georg Friedrich Meier. 2) La seconda parte del saggio (§§ 4-5) analizza il rapporto tra questa dimensione di rappresentare oscuro o inconscio e le diverse forme di coscienza che Kant distingue, a partire dall’emergere di processi inconsci nella Critica della ragion pura, per poi esaminare le nozioni di coscienza empirica, coscienza oggettiva, coscienza logica. 3) La terza parte del saggio (§§ 6-9) si concentra più direttamente sulla dimensione trascendentale della soggettività e la sua relazione con la consapevolezza. Viene precisato anzitutto (§6) il nesso tra la possibilità di unificazione che l’Io penso rappresenta e l’idea di “appartenenza” di rappresentazioni ad una coscienza e dunque del loro essere “accompagnate” da essa. Viene quindi (§ 7) analizzata la relazione tra coscienza e consapevolezza e del ruolo che in essa svolge la coscienza della sintesi, che per mette una lettura anticartesiana della autocoscienza (l’identità rinvia alla sintesi, che è una sintesi di “altro”, rimanda cioè al nesso cognitivo con il mondo). Si pone quindi infine direttamente il problema sollevato dalla estensione e importanza delle rappresentazioni oscure in Kant, ossia se l’appercezione originaria sia comprensibile precisamente come autocoscienza (§ 8), quale sia in altri termini il rapporto con l’autocoscienza psicologica che per operazioni intellettuali sembra non essere sempre necessaria. In conclusione (§ 9) si cerca di definire meglio questo rapporto, distinguendo con precisione l’appercezione trascendentale ma mantenendo una connessione che non la sleghi del tutto da ogni senso psicologico.

L'intelletto oscuro. Inconscio e autocoscienza in Kant

LA ROCCA, CLAUDIO
2007-01-01

Abstract

Il saggio si propone di mostrare la rilevanza nel pensiero di Kant di un attività mentale inconscia che comprende processi ascrivibili all’intelletto, per poi porre il problema della relazione tra questa dimensione inconscia di attività intellettuale e la caratterizzazione dell’intelletto come fondato sull’autocoscienza trascendentale. La lettura congiunta di queste due dimensioni porta alla chiarificazione di molti equivoci interpretativi e alla individuazione di significative conseguenze teoriche. 1) la prima parte del saggio (§§ 1-3) mostra la presenza e la rilevanza, nonostante una prevalente vulgata esegetica in senso contrario e una diffusa disattenzione in merito, di una teoria kantiana dell’attività inconscia della mente, che prevede una articolazione di essa in più dimensioni e livelli, fino a comprendere anche le forme più complesse di attività mentale, e in particolare quella intellettuale. Il ruolo della concezione kantiana viene evidenziato anche in rapporto ai suoi più immediati predecessori nell’elaborazione dell’idea di “dunkle Vorstellungen”, in particolare Christian Wolff, Alexander Gottlieb Baumgarten e Georg Friedrich Meier. 2) La seconda parte del saggio (§§ 4-5) analizza il rapporto tra questa dimensione di rappresentare oscuro o inconscio e le diverse forme di coscienza che Kant distingue, a partire dall’emergere di processi inconsci nella Critica della ragion pura, per poi esaminare le nozioni di coscienza empirica, coscienza oggettiva, coscienza logica. 3) La terza parte del saggio (§§ 6-9) si concentra più direttamente sulla dimensione trascendentale della soggettività e la sua relazione con la consapevolezza. Viene precisato anzitutto (§6) il nesso tra la possibilità di unificazione che l’Io penso rappresenta e l’idea di “appartenenza” di rappresentazioni ad una coscienza e dunque del loro essere “accompagnate” da essa. Viene quindi (§ 7) analizzata la relazione tra coscienza e consapevolezza e del ruolo che in essa svolge la coscienza della sintesi, che per mette una lettura anticartesiana della autocoscienza (l’identità rinvia alla sintesi, che è una sintesi di “altro”, rimanda cioè al nesso cognitivo con il mondo). Si pone quindi infine direttamente il problema sollevato dalla estensione e importanza delle rappresentazioni oscure in Kant, ossia se l’appercezione originaria sia comprensibile precisamente come autocoscienza (§ 8), quale sia in altri termini il rapporto con l’autocoscienza psicologica che per operazioni intellettuali sembra non essere sempre necessaria. In conclusione (§ 9) si cerca di definire meglio questo rapporto, distinguendo con precisione l’appercezione trascendentale ma mantenendo una connessione che non la sleghi del tutto da ogni senso psicologico.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/234636
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