Nnell’articolo bersaglio del presente focus Lalumera e Amoretti presentano criticamente una posizione piuttosto radicale circa lo status scientifico della psichiatria, quella di Dominic Murphy, attualmente professore presso l’University of Sidney. Secondo Murphy, la psichiatria non solo deve adottare il modello medico, ma il modello medico nella sua accezione «forte» (Murphy, 2013): la psichiatria deve cioè impegnarsi esplicitamente a formulare delle specifiche ipotesi causali, in termini di disfunzioni dei sistemi cerebrali ritenuti responsabili delle sindromi caratterizzanti i vari disturbi mentali. In questo senso, i disturbi mentali vengono identificati con dei processi distruttivi o degenerativi di uno o più sistemi del cervello. Dal momento che le neuroscienze, e in particolare la neuroscienza cognitiva, sono dedite proprio a tali studi, non sorprende come nell’ottica di Murphy la psichiatria debba essere considerata come una branca della neuroscienza cognitiva. Questa sua tesi di fondo ha ovviamente importanti conseguenze sul piano metafisico, epistemologico e nosologico. Negli ultimi decenni la neuroscienza cognitiva ha certamente fatto dei passi da giganti, e la psichiatria è stata vieppiù influenzata dai suoi risultati (Broome e Bortolotti, 2009). Ma può la psichiatria essere ridotta a neuroscienza cognitiva? Fare esclusivamente affidamento sui metodi utilizzati all’interno di tale disciplina? Prendere in considerazione sol- tanto le ipotesi e le teorie da essa formulate? I commenti all’articolo bersaglio di Lalumera e Amoretti intendono proprio evidenziare pregi e limiti di questa possibilità abbracciata da Murphy.
Psichiatria e scienze cognitive
AMORETTI, MARIA CRISTINA;
2018-01-01
Abstract
Nnell’articolo bersaglio del presente focus Lalumera e Amoretti presentano criticamente una posizione piuttosto radicale circa lo status scientifico della psichiatria, quella di Dominic Murphy, attualmente professore presso l’University of Sidney. Secondo Murphy, la psichiatria non solo deve adottare il modello medico, ma il modello medico nella sua accezione «forte» (Murphy, 2013): la psichiatria deve cioè impegnarsi esplicitamente a formulare delle specifiche ipotesi causali, in termini di disfunzioni dei sistemi cerebrali ritenuti responsabili delle sindromi caratterizzanti i vari disturbi mentali. In questo senso, i disturbi mentali vengono identificati con dei processi distruttivi o degenerativi di uno o più sistemi del cervello. Dal momento che le neuroscienze, e in particolare la neuroscienza cognitiva, sono dedite proprio a tali studi, non sorprende come nell’ottica di Murphy la psichiatria debba essere considerata come una branca della neuroscienza cognitiva. Questa sua tesi di fondo ha ovviamente importanti conseguenze sul piano metafisico, epistemologico e nosologico. Negli ultimi decenni la neuroscienza cognitiva ha certamente fatto dei passi da giganti, e la psichiatria è stata vieppiù influenzata dai suoi risultati (Broome e Bortolotti, 2009). Ma può la psichiatria essere ridotta a neuroscienza cognitiva? Fare esclusivamente affidamento sui metodi utilizzati all’interno di tale disciplina? Prendere in considerazione sol- tanto le ipotesi e le teorie da essa formulate? I commenti all’articolo bersaglio di Lalumera e Amoretti intendono proprio evidenziare pregi e limiti di questa possibilità abbracciata da Murphy.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.