La corsa barbaresca è una delle principali problematiche che Genova deve affrontare nei secoli dell’età moderna lungo le sue estesissime frontiere marittime. Tale problematica si configura secondo modalità differenti fra XVI e XVIII secolo, determinando varie ed articolate forme di reazioni da parte della Repubblica e delle popolazioni dei suoi domini. Nel Cinquecento Genova risponde alla frequenza delle razzie condotte a terra, oltre che all’attività corsara propriamente detta, fortificando massicciamente i litorali della Liguria e della Corsica e affidandosi alle galee dei Doria e degli altri assentisti al servizio della Spagna, senza sviluppare una propria forza navale che non sia puramente simbolica. Nel Seicento, in conseguenza di un progressivo ridimensionamento dell’alleanza con gli Austrias, prende corpo una politica navale più incisiva. Tra la seconda metà del Seicento e l’inizio del Settecento si delinea tuttavia, soprattutto per motivi di ordine finanziario, un arretramento della presenza statale sul mare. E ciò avviene in un quadro caratterizzato dalla persistenza della minaccia barbaresca, rivolta ora quasi esclusivamente verso la navigazione mercantile (la frequenza delle razzie a terra diminuisce infatti durante il Seicento, in conseguenza anche dell’efficienza del sistema di difesa costiero). Si determina quindi una condizione di emergenza a cui, nell’impossibilità di incrementare le proprie forze navali ordinarie, la Repubblica fa fronte ricorrendo all’impiego di bastimenti privati noleggiati temporaneamente per il servizio militare. E a tale strumento ricorrono anche in proprio i sudditi genovesi, che con sempre maggior frequenza promuovono e finanziano l’armamento di legni anticorsari. Le necessità pubbliche e l’iniziativa privata convergono quindi, dando vita ad un modello che caratterizza la politica navale genovese del Settecento non solo nella controcorsa antibarbaresca ma in altre emergenze, prima fra tutte la sollevazione della Corsica. Tale modello – nella sua versione antibarbaresca – viene istituzionalizzato negli anni Trenta, attraverso un organismo alquanto singolare: la Compagnia di Nostra Signora. Si tratta di una particolare confraternita a direzione pubblica – alla cui origine sta però l’iniziativa di alcuni esponenti degli ambienti mercantili genovesi – creata allo scopo di raccogliere finanziamenti da destinare all’armamento di bastimenti per la controcorsa antibarbaresca. Un prodotto originale generato dalla necessità di rispondere a uno stato di emergenza a cui il potere pubblico non può far adeguatamente fronte senza il concorso del privato

La Compagnia di Nostra Signora del Soccorso: iniziativa privata e potere pubblico di fronte all'emergenza barbaresca nella Genova del Settecento

BERI, EMILIANO
2016-01-01

Abstract

La corsa barbaresca è una delle principali problematiche che Genova deve affrontare nei secoli dell’età moderna lungo le sue estesissime frontiere marittime. Tale problematica si configura secondo modalità differenti fra XVI e XVIII secolo, determinando varie ed articolate forme di reazioni da parte della Repubblica e delle popolazioni dei suoi domini. Nel Cinquecento Genova risponde alla frequenza delle razzie condotte a terra, oltre che all’attività corsara propriamente detta, fortificando massicciamente i litorali della Liguria e della Corsica e affidandosi alle galee dei Doria e degli altri assentisti al servizio della Spagna, senza sviluppare una propria forza navale che non sia puramente simbolica. Nel Seicento, in conseguenza di un progressivo ridimensionamento dell’alleanza con gli Austrias, prende corpo una politica navale più incisiva. Tra la seconda metà del Seicento e l’inizio del Settecento si delinea tuttavia, soprattutto per motivi di ordine finanziario, un arretramento della presenza statale sul mare. E ciò avviene in un quadro caratterizzato dalla persistenza della minaccia barbaresca, rivolta ora quasi esclusivamente verso la navigazione mercantile (la frequenza delle razzie a terra diminuisce infatti durante il Seicento, in conseguenza anche dell’efficienza del sistema di difesa costiero). Si determina quindi una condizione di emergenza a cui, nell’impossibilità di incrementare le proprie forze navali ordinarie, la Repubblica fa fronte ricorrendo all’impiego di bastimenti privati noleggiati temporaneamente per il servizio militare. E a tale strumento ricorrono anche in proprio i sudditi genovesi, che con sempre maggior frequenza promuovono e finanziano l’armamento di legni anticorsari. Le necessità pubbliche e l’iniziativa privata convergono quindi, dando vita ad un modello che caratterizza la politica navale genovese del Settecento non solo nella controcorsa antibarbaresca ma in altre emergenze, prima fra tutte la sollevazione della Corsica. Tale modello – nella sua versione antibarbaresca – viene istituzionalizzato negli anni Trenta, attraverso un organismo alquanto singolare: la Compagnia di Nostra Signora. Si tratta di una particolare confraternita a direzione pubblica – alla cui origine sta però l’iniziativa di alcuni esponenti degli ambienti mercantili genovesi – creata allo scopo di raccogliere finanziamenti da destinare all’armamento di bastimenti per la controcorsa antibarbaresca. Un prodotto originale generato dalla necessità di rispondere a uno stato di emergenza a cui il potere pubblico non può far adeguatamente fronte senza il concorso del privato
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