Gli ordinamenti del mondo occidentale sembrano muoversi sempre più in contesti sociali globalizzati e secolarizzati, tuttavia questa situazione non comporta che le identità culturali siano marginalizzate; al contrario, il pluralismo delle società e dei valori emergenti contrastanti finiscono per condurre a una forte emersione dei gruppi identificati culturalmente. E’ proprio l’esistenza di un variegato mosaico culturale esistente nelle società moderne che spinge alla ricerca di soluzioni ragionevoli per favorire la convivenza pacifica di individui con attitudini di vita diversi tra loro. La necessità di far coesistere identità culturali distinte può favorire la tendenza degli ordinamenti a incrinare l’assioma per il quale “la legge è eguale per tutti”, per optare invece per l’applicazione di norme declinate a seconda dei destinatari. Le società moderne, che vogliono preservare l’esistenza della cultura dei gruppi minoritari, paiono disponibili ad accettare l’introduzione di deroghe all’ordinamento generale, delle eccezioni alle norme. La legittimazione della lex specialis deriva dal riconoscimento dello status particolare attribuito agli appartenenti di una determinata comunità o gruppo. L’eccezionalità della regolazione di una determinata fattispecie rispetto alla generalità applicabile all’universitas degli individui costituirebbe il mezzo attraverso il quale è possibile mantenere e salvaguardare i profili specifici e caratterizzanti l’identità di una determinata minoranza. Si rinnega, quindi, l’esistenza di uno status unico per tutte le persone disciplinato dalla normazione generale e che, nel passato, si giustificava con l’obiettivo di non procedere ad alcun tipo di discriminazione.. Le caratteristiche della generalità e dell’astrattezza sono strumentali all’applicazione del principio di eguaglianza formale. La rigida applicazione di suddetto principio - che ha contribuito all’affermazione dello Stato di diritto - ha tuttavia nel corso della storia assunto dimensioni concettuali diversificate. In primo luogo, è stato affiancato dal principio di eguaglianza sostanziale, in base al quale alcuni profili caratterizzanti una persona (razza, sesso, lingua, religione, status sociale etc..) assurgono a titolo legittimamente per riconoscere un trattamento differenziato alla stessa, con il fine di ridurre le condizioni di debolezza e subalternità in cui si trova. Tuttavia, in un primo momento è ciò che è espressione di alterità che giustifica l’adozione di misure ad hoc, in violazione del principio di eguaglianza formale, con il chiaro intento di aiutare la rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la piena eguaglianza di opportunità a soggetti appartenenti a un gruppo ovvero a una classe di persone che si trovano socialmente lato sensu sfavorite. Tale ricostruzione teorica apre le porte nei sistemi legali all’utilizzo delle cosiddette azioni positive, cioè a tutti quegli strumenti normativi (leggi, provvedimenti, politiche) che, in deroga al principio di eguaglianza formale (tutti sono eguali di fronte alla legge), prevedono trattamenti di favore nei confronti di appartenenti a un gruppo di persone, che sono considerate meritevoli di tutela da parte dello Stato. Il fine dell’ordinamento, però, è quello di riequilibrare, di livellare, di riallineare i singoli verso un’ideale parità di trattamento con consimili, volendo far prevalere ciò che rende omogeneo rispetto a quello che differenzia. In sostanza, l’adozione di misure differenziate e modulate sarebbe sottoposta a una condizione sospensiva, sarebbero transitorie cioè legittimate fino a quando le classi svantaggiate non si vedono impedito il pieno sviluppo della persona e non possano effettivamente partecipare all’organizzazione politica, economica e sociale del paese ma su un paradigma inclusivo e paritario. Una volta che la comunità socio-politica consente a tutti di partecipare su un piede di parità di chances, le misure di favore possono venire meno; in altri termini la ratio esplicativa delle affirmative actions è quello dell’integrazione, perché si propongono di eliminare l’esclusione. Le misure di favore sono pensate per le minorities by force, da identificarsi in quei gruppi le cui caratteristiche distintive sono attribuite loro da una maggioranza, la quale ostacola il processo di integrazione. La diversità è percepita come alterità-opposizione-esclusione: pertanto, gli appartenenti al gruppo tendono alla rimozione degli elementi di differenziazione, considerati come strumenti di segregazione da parte del gruppo dominante. Pertanto, il perseguimento dell’eguaglianza fra gli individui rappresenta un obiettivo fra i più rilevanti negli ordinamenti democratici, i quali progressivamente tendono a neutralizzare tutti gli elementi di diversificazione fra gli individui, che potrebbero dare luogo a trattamenti differenziati rispetto a un archetipo di cittadino astratto e privo di tutte le proprie connotazioni naturali, culturali e sociali. Tuttavia, nel costituzionalismo contemporaneo gli individui sono considerati nella loro qualità di persone storicamente determinate, immerse nella società; i soggetti tutelati dalle Costituzioni non sono individui astratti, ma persone concrete, considerate nella loro esistenza storica e materiale. Si assiste, in altri termini, al passaggio da un visione atomistica ad una visione sociale della persona umana. Questa particolare proiezione del principio personalistico si connette, negli ordinamenti a democrazia matura, alle evoluzioni della forma di Stato sociale; mentre, negli Stati, che più recentemente hanno recepito i principi del costituzionalismo, essa appare ispirata anche dal particolare legame con le proprie tradizioni storiche, culturali ed etniche. In quest’ultimo caso, l’ordinamento statuale, allora, finisce per assumere come fine qualificante la necessità di riconoscere, conservare e promuovere la pluralità delle culture dei cittadini che possono essere presenti nel territorio. In altri termini, i pubblici poteri non dovrebbero avere solo fini riequilibrativi o risarcitori di discriminazioni pregresse ma dovrebbero contribuire al mantenimento dell’alterità e del pluralismo. Occorre, quindi, pensare a uno Stato che si qualifichi come conservatore e valorizzatore delle identità plurali esistenti, cioè una forma di Stato che declini i rapporti fra sovranità e popolo in senso multiculturale, conformandosi all’idea di una pari dignità da riconoscersi alle espressioni culturali dei gruppi e delle comunità che convivono in una società democratica e all’idea che ciascun essere umano ha diritto a crescere dentro una cultura che sia la propria e non quella contingentemente maggioritaria nel contesto socio-politico entro cui si trova a vivere. In questa prospettiva, il fine non è l’integrazione piena in una comunità politica ma la demarcazione della propria identità culturale, che deve acquisire piena visibilità e riconoscibilità. Ciò che con il multiculturalismo si invoca è che vi debba essere un apprezzamento pubblico delle diversità, il cui abbandono comporterebbe la fine del gruppo che vi si rispecchia: mantenere quelle pratiche vuol dire continuare il legame collettivo che simboleggiano ed è per questo motivo che si domanda di preservarne la continuità. I destinatari degli interventi, quindi, non sono più minoranze loro malgrado ma volontarie (by will), configurandosi come gruppi che considerano la loro diversità culturale un patrimonio specifico da salvaguardare, una differenza da mantenere. Il paradigma multiculturale dell’eguaglianza supera i confini dell’eguaglianza formale – perché troppo angusti – e quelli dell’eguaglianza sostanziale – perché inevitabilmente destinati a stemperarsi in quella formale. L’applicazione del principio di eguaglianza, quindi, oscilla fra il valore del rispetto dell’identità e quello dell’integrazione. Esigenze ricostruttive e sistematiche spingono adesso a proporre una classificazione dei meccanismi e strumenti di riconoscimento delle differenze che possono essere coagularsi attorno a due elementi: a) riconoscimento normativo della differenza religiosa e di coscienza, che a seconda dell’impostazione può essere riconducibile alla nomenclatura di norme speciali; b) exemptions, accordate sulla base degli accommodements raisonnables, espressione mutuata dal linguaggio anglosassone e utilizzato dalla Corte suprema canadese, che può essere sintetizzata come una «obligation juridique, applicable dans une situation de discrimination, et consistant à aménager une norme ou une pratique de portée universelle dans les limites du raisonable, en accordant un traitement différentiel à une personne qui, autrement, serait penalisée par l’application d’une telle norme» Nell’articolo si dà conto delle più significative discipline legislative derogatorie e giurisprudenze finalizzate alla salvaguardia delle identità culturali presenti nei vari paesi. In particolare, sono stati privilegiati gli ordinamenti di matrice anglosassone in alcuni ambiti come la famiglia, l’educazione dei minori, mutilazioni genitali femminili e macellazioni rituali.

Pluralismo religioso e pluralismo legale: un compromesso possibile

CECCHERINI, ELEONORA
2012-01-01

Abstract

Gli ordinamenti del mondo occidentale sembrano muoversi sempre più in contesti sociali globalizzati e secolarizzati, tuttavia questa situazione non comporta che le identità culturali siano marginalizzate; al contrario, il pluralismo delle società e dei valori emergenti contrastanti finiscono per condurre a una forte emersione dei gruppi identificati culturalmente. E’ proprio l’esistenza di un variegato mosaico culturale esistente nelle società moderne che spinge alla ricerca di soluzioni ragionevoli per favorire la convivenza pacifica di individui con attitudini di vita diversi tra loro. La necessità di far coesistere identità culturali distinte può favorire la tendenza degli ordinamenti a incrinare l’assioma per il quale “la legge è eguale per tutti”, per optare invece per l’applicazione di norme declinate a seconda dei destinatari. Le società moderne, che vogliono preservare l’esistenza della cultura dei gruppi minoritari, paiono disponibili ad accettare l’introduzione di deroghe all’ordinamento generale, delle eccezioni alle norme. La legittimazione della lex specialis deriva dal riconoscimento dello status particolare attribuito agli appartenenti di una determinata comunità o gruppo. L’eccezionalità della regolazione di una determinata fattispecie rispetto alla generalità applicabile all’universitas degli individui costituirebbe il mezzo attraverso il quale è possibile mantenere e salvaguardare i profili specifici e caratterizzanti l’identità di una determinata minoranza. Si rinnega, quindi, l’esistenza di uno status unico per tutte le persone disciplinato dalla normazione generale e che, nel passato, si giustificava con l’obiettivo di non procedere ad alcun tipo di discriminazione.. Le caratteristiche della generalità e dell’astrattezza sono strumentali all’applicazione del principio di eguaglianza formale. La rigida applicazione di suddetto principio - che ha contribuito all’affermazione dello Stato di diritto - ha tuttavia nel corso della storia assunto dimensioni concettuali diversificate. In primo luogo, è stato affiancato dal principio di eguaglianza sostanziale, in base al quale alcuni profili caratterizzanti una persona (razza, sesso, lingua, religione, status sociale etc..) assurgono a titolo legittimamente per riconoscere un trattamento differenziato alla stessa, con il fine di ridurre le condizioni di debolezza e subalternità in cui si trova. Tuttavia, in un primo momento è ciò che è espressione di alterità che giustifica l’adozione di misure ad hoc, in violazione del principio di eguaglianza formale, con il chiaro intento di aiutare la rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la piena eguaglianza di opportunità a soggetti appartenenti a un gruppo ovvero a una classe di persone che si trovano socialmente lato sensu sfavorite. Tale ricostruzione teorica apre le porte nei sistemi legali all’utilizzo delle cosiddette azioni positive, cioè a tutti quegli strumenti normativi (leggi, provvedimenti, politiche) che, in deroga al principio di eguaglianza formale (tutti sono eguali di fronte alla legge), prevedono trattamenti di favore nei confronti di appartenenti a un gruppo di persone, che sono considerate meritevoli di tutela da parte dello Stato. Il fine dell’ordinamento, però, è quello di riequilibrare, di livellare, di riallineare i singoli verso un’ideale parità di trattamento con consimili, volendo far prevalere ciò che rende omogeneo rispetto a quello che differenzia. In sostanza, l’adozione di misure differenziate e modulate sarebbe sottoposta a una condizione sospensiva, sarebbero transitorie cioè legittimate fino a quando le classi svantaggiate non si vedono impedito il pieno sviluppo della persona e non possano effettivamente partecipare all’organizzazione politica, economica e sociale del paese ma su un paradigma inclusivo e paritario. Una volta che la comunità socio-politica consente a tutti di partecipare su un piede di parità di chances, le misure di favore possono venire meno; in altri termini la ratio esplicativa delle affirmative actions è quello dell’integrazione, perché si propongono di eliminare l’esclusione. Le misure di favore sono pensate per le minorities by force, da identificarsi in quei gruppi le cui caratteristiche distintive sono attribuite loro da una maggioranza, la quale ostacola il processo di integrazione. La diversità è percepita come alterità-opposizione-esclusione: pertanto, gli appartenenti al gruppo tendono alla rimozione degli elementi di differenziazione, considerati come strumenti di segregazione da parte del gruppo dominante. Pertanto, il perseguimento dell’eguaglianza fra gli individui rappresenta un obiettivo fra i più rilevanti negli ordinamenti democratici, i quali progressivamente tendono a neutralizzare tutti gli elementi di diversificazione fra gli individui, che potrebbero dare luogo a trattamenti differenziati rispetto a un archetipo di cittadino astratto e privo di tutte le proprie connotazioni naturali, culturali e sociali. Tuttavia, nel costituzionalismo contemporaneo gli individui sono considerati nella loro qualità di persone storicamente determinate, immerse nella società; i soggetti tutelati dalle Costituzioni non sono individui astratti, ma persone concrete, considerate nella loro esistenza storica e materiale. Si assiste, in altri termini, al passaggio da un visione atomistica ad una visione sociale della persona umana. Questa particolare proiezione del principio personalistico si connette, negli ordinamenti a democrazia matura, alle evoluzioni della forma di Stato sociale; mentre, negli Stati, che più recentemente hanno recepito i principi del costituzionalismo, essa appare ispirata anche dal particolare legame con le proprie tradizioni storiche, culturali ed etniche. In quest’ultimo caso, l’ordinamento statuale, allora, finisce per assumere come fine qualificante la necessità di riconoscere, conservare e promuovere la pluralità delle culture dei cittadini che possono essere presenti nel territorio. In altri termini, i pubblici poteri non dovrebbero avere solo fini riequilibrativi o risarcitori di discriminazioni pregresse ma dovrebbero contribuire al mantenimento dell’alterità e del pluralismo. Occorre, quindi, pensare a uno Stato che si qualifichi come conservatore e valorizzatore delle identità plurali esistenti, cioè una forma di Stato che declini i rapporti fra sovranità e popolo in senso multiculturale, conformandosi all’idea di una pari dignità da riconoscersi alle espressioni culturali dei gruppi e delle comunità che convivono in una società democratica e all’idea che ciascun essere umano ha diritto a crescere dentro una cultura che sia la propria e non quella contingentemente maggioritaria nel contesto socio-politico entro cui si trova a vivere. In questa prospettiva, il fine non è l’integrazione piena in una comunità politica ma la demarcazione della propria identità culturale, che deve acquisire piena visibilità e riconoscibilità. Ciò che con il multiculturalismo si invoca è che vi debba essere un apprezzamento pubblico delle diversità, il cui abbandono comporterebbe la fine del gruppo che vi si rispecchia: mantenere quelle pratiche vuol dire continuare il legame collettivo che simboleggiano ed è per questo motivo che si domanda di preservarne la continuità. I destinatari degli interventi, quindi, non sono più minoranze loro malgrado ma volontarie (by will), configurandosi come gruppi che considerano la loro diversità culturale un patrimonio specifico da salvaguardare, una differenza da mantenere. Il paradigma multiculturale dell’eguaglianza supera i confini dell’eguaglianza formale – perché troppo angusti – e quelli dell’eguaglianza sostanziale – perché inevitabilmente destinati a stemperarsi in quella formale. L’applicazione del principio di eguaglianza, quindi, oscilla fra il valore del rispetto dell’identità e quello dell’integrazione. Esigenze ricostruttive e sistematiche spingono adesso a proporre una classificazione dei meccanismi e strumenti di riconoscimento delle differenze che possono essere coagularsi attorno a due elementi: a) riconoscimento normativo della differenza religiosa e di coscienza, che a seconda dell’impostazione può essere riconducibile alla nomenclatura di norme speciali; b) exemptions, accordate sulla base degli accommodements raisonnables, espressione mutuata dal linguaggio anglosassone e utilizzato dalla Corte suprema canadese, che può essere sintetizzata come una «obligation juridique, applicable dans une situation de discrimination, et consistant à aménager une norme ou une pratique de portée universelle dans les limites du raisonable, en accordant un traitement différentiel à une personne qui, autrement, serait penalisée par l’application d’une telle norme» Nell’articolo si dà conto delle più significative discipline legislative derogatorie e giurisprudenze finalizzate alla salvaguardia delle identità culturali presenti nei vari paesi. In particolare, sono stati privilegiati gli ordinamenti di matrice anglosassone in alcuni ambiti come la famiglia, l’educazione dei minori, mutilazioni genitali femminili e macellazioni rituali.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/391115
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