Il Torrismondo è l’ultima opera del Tasso, che mette in scena i moti degli affetti e delle vicende umane (a parte la riscrittura della Conquistata) e non possiamo non leggerla come un deliberato congedo da un mondo di passionalità, che ben lo coinvolse. Ma la misura del congedo è anche più ampia e riguarda l’insieme della tradizione letteraria ereditata, come si vedrà in questo studio, un’opera profondamente antiumanistica e antirinascimentale, e solo assai cautamente ascrivibile ad un gusto barocco, certamente ben poco a quello italiano, che infatti non la ricevette. Da quanto qui accennato (e che si documenta nel libro) è possibile intendere il mancato successo del Torrismondo non tanto da una mancanza dell’autore, quanto da una ardua digeribilità dell’opera nel contesto italiano, che preferì infatti accantonarla e rimuoverla, dopo una prima vasta ostensione. Questo libro cerca di spiegare tutto questo, non dimenticando che da un trentennio il Torrismondo è tra le opere del Tasso più lette e studiate ed ha in qualche modo incontrato il suo ‘successo’ – per quanto confinato nel breve giro degli specialisti – a quattro secoli dalla sua prima stampa. Anche questo vorrà dire qualcosa e andrà interpretato. Ma per quanto osservato ormai da più angolature in molti e suggestivi studi è mancato finora un libro su quest’opera, che ne prospetti un’escussione a vasto raggio nella sua ‘macchina’ interna e nel suoi vari contesti. In particolare il libro affronta le problematiche della datazione dell’opera ed illustra l’ipotesi di uno spostamento della sua genesi ed abbozzo (Il Galealto) rispetto alla data della tradizione (immediatamente a ridosso dell’Aminta);svolge una articolata contestualizzazione dentro l’opera tassiana, nel dibattito teorico sulla tragedia, nei modelli esemplari del genere; mette in luce i possibili contesti storici e politici sulla questione dinastica estense; illustra i rapporti tra il testo e la scena e tra il verso e la vocalità; l’ultimo capitolo riguarda l’unico episodio di “fortuna” dell’opera nel quadro di una prima sistemazione critica della tragedia italiana nel Settecento

"IL RE TORRISMONDO" E ALTRO, ALESSANDRIA, EDIZIONI DELL'ORSO, 2007, PP.252,

VERDINO, STEFANO FERNANDO
2007-01-01

Abstract

Il Torrismondo è l’ultima opera del Tasso, che mette in scena i moti degli affetti e delle vicende umane (a parte la riscrittura della Conquistata) e non possiamo non leggerla come un deliberato congedo da un mondo di passionalità, che ben lo coinvolse. Ma la misura del congedo è anche più ampia e riguarda l’insieme della tradizione letteraria ereditata, come si vedrà in questo studio, un’opera profondamente antiumanistica e antirinascimentale, e solo assai cautamente ascrivibile ad un gusto barocco, certamente ben poco a quello italiano, che infatti non la ricevette. Da quanto qui accennato (e che si documenta nel libro) è possibile intendere il mancato successo del Torrismondo non tanto da una mancanza dell’autore, quanto da una ardua digeribilità dell’opera nel contesto italiano, che preferì infatti accantonarla e rimuoverla, dopo una prima vasta ostensione. Questo libro cerca di spiegare tutto questo, non dimenticando che da un trentennio il Torrismondo è tra le opere del Tasso più lette e studiate ed ha in qualche modo incontrato il suo ‘successo’ – per quanto confinato nel breve giro degli specialisti – a quattro secoli dalla sua prima stampa. Anche questo vorrà dire qualcosa e andrà interpretato. Ma per quanto osservato ormai da più angolature in molti e suggestivi studi è mancato finora un libro su quest’opera, che ne prospetti un’escussione a vasto raggio nella sua ‘macchina’ interna e nel suoi vari contesti. In particolare il libro affronta le problematiche della datazione dell’opera ed illustra l’ipotesi di uno spostamento della sua genesi ed abbozzo (Il Galealto) rispetto alla data della tradizione (immediatamente a ridosso dell’Aminta);svolge una articolata contestualizzazione dentro l’opera tassiana, nel dibattito teorico sulla tragedia, nei modelli esemplari del genere; mette in luce i possibili contesti storici e politici sulla questione dinastica estense; illustra i rapporti tra il testo e la scena e tra il verso e la vocalità; l’ultimo capitolo riguarda l’unico episodio di “fortuna” dell’opera nel quadro di una prima sistemazione critica della tragedia italiana nel Settecento
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