Sorta il 30 dicembre 1922 e conclusasi il 26 dicembre 1991, l’Unione Sovietica si configurò come uno Stato federale che si estendeva tra Europa orientale e Asia settentrionale. Era composta da 15 Repubbliche socialiste, la più grande delle quali era la Russia. Era il Paese più esteso del mondo con 22.402.000 km² di superficie, pari a un sesto delle terre emerse, nonché lo Stato più grande d’Asia e d’Europa, per ciascuna delle parti di competenza continentale. L’Unione Sovietica fu uno degli Stati più diversificati del mondo dal punto di vista etnico, con oltre cento distinti gruppi nazionali che vivevano all’interno dei suoi confini. La popolazione totale venne calcolata in 293 milioni nel 1991. Secondo una stima del 1990, la maggioranza degli abitanti erano etnicamente russi (50,78%), seguiti dagli ucraini (15,45%) e dagli uzbechi (5,84%). Insieme alla fragile economia pianificata, la questione delle nazionalità sarebbe stata una delle cause principali della conclusione dell’esperienza sovietica. Il problema delle nazionalità si era già palesato al momento della nascita dell’esperienza sovietica. Se, da un lato, il Governo bolscevico, tra il 1917 e il 1923, profuse energia e impegno nel riconoscimento delle nazionalità atto a evitare una frantumazione del territorio dell’ex Impero russo in Repubbliche indipendenti, dall’altro la questione sarebbe rimasta aperta: basti pensare che ancora nel giugno 1983 Konstantin Černenko, allora secondo segretario del Partito comunista dell’Unione Sovietica, osservò che, sebbene la questione nazionale fosse stata risolta «nella forma in cui ci è giunta dal passato», ciò non significava che fosse stata completamente rimossa dall’agenda politica e, anzi, non appena le contingenze lo permisero, contribuì alla dissoluzione di uno Stato tanto faticosamente sorto. Emblematicamente, sarebbe stato il “nuovo pensiero” dell’ultimo leader sovietico, Michail Gorbačëv a risvegliare i sentimenti nazionalisti soffocati nei decenni precedenti. Il dilagare delle tensioni etniche, dei disordini e della violenza, combinato con le dichiarazioni di “sovranità” e “indipendenza” a livello nazionale da parte di unità subnazionali, dimostrò sia la fragilità della precedente pace interetnica sia la complessità di una questione che avrebbe necessitato di un’urgente ed efficace gestione. Nel marzo 1991, quando si tenne il referendum sul futuro dell’URSS, furono identificate 76 controversie etno-territoriali effettive o potenziali e le cifre ufficiali avevano attribuito almeno 632 morti direttamente a conflitti interetnici. La realtà suggeriva che le varie politiche adottate dal Cremlino avevano fallito. Con la dissoluzione dell’URSS, le precedenti quindici Repubbliche socialiste sovietiche si auto-proclamarono indipendenti. Fu in questo contesto che alcuni attriti etnici cominciarono a emergere con forza. Se, con l’URSS, tutte le nazionalità erano parimenti assoggettate al governo di Mosca, con le nuove indipendenze diversi territori inseriti nei confini delle neonate Repubbliche ritennero di aver diritto alla propria sovranità. Comparvero così i “conflitti congelati”, frozen conflicts, scoppiati a seguito delle rivendicazioni di indipendenza da parte di regioni o popolazioni (normalmente minoranze etniche) che ancora oggi vogliono separarsi dallo Stato di cui fanno parte.

L’URSS e la questione delle nazionalità

Lara Piccardo
2024-01-01

Abstract

Sorta il 30 dicembre 1922 e conclusasi il 26 dicembre 1991, l’Unione Sovietica si configurò come uno Stato federale che si estendeva tra Europa orientale e Asia settentrionale. Era composta da 15 Repubbliche socialiste, la più grande delle quali era la Russia. Era il Paese più esteso del mondo con 22.402.000 km² di superficie, pari a un sesto delle terre emerse, nonché lo Stato più grande d’Asia e d’Europa, per ciascuna delle parti di competenza continentale. L’Unione Sovietica fu uno degli Stati più diversificati del mondo dal punto di vista etnico, con oltre cento distinti gruppi nazionali che vivevano all’interno dei suoi confini. La popolazione totale venne calcolata in 293 milioni nel 1991. Secondo una stima del 1990, la maggioranza degli abitanti erano etnicamente russi (50,78%), seguiti dagli ucraini (15,45%) e dagli uzbechi (5,84%). Insieme alla fragile economia pianificata, la questione delle nazionalità sarebbe stata una delle cause principali della conclusione dell’esperienza sovietica. Il problema delle nazionalità si era già palesato al momento della nascita dell’esperienza sovietica. Se, da un lato, il Governo bolscevico, tra il 1917 e il 1923, profuse energia e impegno nel riconoscimento delle nazionalità atto a evitare una frantumazione del territorio dell’ex Impero russo in Repubbliche indipendenti, dall’altro la questione sarebbe rimasta aperta: basti pensare che ancora nel giugno 1983 Konstantin Černenko, allora secondo segretario del Partito comunista dell’Unione Sovietica, osservò che, sebbene la questione nazionale fosse stata risolta «nella forma in cui ci è giunta dal passato», ciò non significava che fosse stata completamente rimossa dall’agenda politica e, anzi, non appena le contingenze lo permisero, contribuì alla dissoluzione di uno Stato tanto faticosamente sorto. Emblematicamente, sarebbe stato il “nuovo pensiero” dell’ultimo leader sovietico, Michail Gorbačëv a risvegliare i sentimenti nazionalisti soffocati nei decenni precedenti. Il dilagare delle tensioni etniche, dei disordini e della violenza, combinato con le dichiarazioni di “sovranità” e “indipendenza” a livello nazionale da parte di unità subnazionali, dimostrò sia la fragilità della precedente pace interetnica sia la complessità di una questione che avrebbe necessitato di un’urgente ed efficace gestione. Nel marzo 1991, quando si tenne il referendum sul futuro dell’URSS, furono identificate 76 controversie etno-territoriali effettive o potenziali e le cifre ufficiali avevano attribuito almeno 632 morti direttamente a conflitti interetnici. La realtà suggeriva che le varie politiche adottate dal Cremlino avevano fallito. Con la dissoluzione dell’URSS, le precedenti quindici Repubbliche socialiste sovietiche si auto-proclamarono indipendenti. Fu in questo contesto che alcuni attriti etnici cominciarono a emergere con forza. Se, con l’URSS, tutte le nazionalità erano parimenti assoggettate al governo di Mosca, con le nuove indipendenze diversi territori inseriti nei confini delle neonate Repubbliche ritennero di aver diritto alla propria sovranità. Comparvero così i “conflitti congelati”, frozen conflicts, scoppiati a seguito delle rivendicazioni di indipendenza da parte di regioni o popolazioni (normalmente minoranze etniche) che ancora oggi vogliono separarsi dallo Stato di cui fanno parte.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/1220548
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