In Italia oltre 4 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta e oltre 10 milioni in grave deprivazione materiale. Tra i grandi capoluoghi centrosettentrionali, con 9.500 alloggi, Genova conta la più scarna edilizia residenziale pubblica in rapporto alla popolazione: circa 30 famiglie residenti per 1 alloggio, a fronte del rapporto di 9:1 di Milano. In parallelo il capoluogo ligure registra un forte aumento di investimenti immobiliari nel settore degli alloggi di lusso, l’unico in evidente espansione. La questione della qualità dell’abitare e del ruolo che la progettazione riveste in questo delicato processo appaiono in questo contesto centrali. Attraverso la lettura di alcuni caratteri che legano la morfologia del territorio genovese alle modalità di infrastrutturazione e edificazione del capoluogo ligure, è possibile isolare alcuni manufatti, realizzati tra gli anni Cinquanta e Ottanta del secolo scorso, per una riflessione sulla condizione dell’abitare contemporaneo. Due i fenomeni in atto che sintetizzano altrettanti approcci divergenti rispetto al patrimonio esistente. Da un lato le icone del periodo INA-Casa si stanno trasformando sotto l’impulso di micro-interventi attivati dai singoli inquilini, che ne mettono a nudo i caratteri costituivi; dall’altro la distruzione di manufatti di seconda generazione che segna, di fatto, la sconfitta degli interventi ad alta densità. Fatti recenti come la demolizione delle ‘Dighe’ di Begato (Quartiere Diamante, complesso popolare sinonimo di degrado), da poco terminata, a cui si lega una fase di ‘rigenerazione’ del quartiere attraverso la progettazione di nuovi alloggi, lasciano diverse questioni aperte: che ruolo gioca il progetto in questo processo? Per quali abitanti vanno pensate le case del futuro? Quali parametri definiscono realmente la qualità dell’abitare?

Hous [in_Ge]. Il modello residenziale pubblico a Genova a 60 anni dalla fine del programma Ina-Casa

massimiliano giberti
2024-01-01

Abstract

In Italia oltre 4 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta e oltre 10 milioni in grave deprivazione materiale. Tra i grandi capoluoghi centrosettentrionali, con 9.500 alloggi, Genova conta la più scarna edilizia residenziale pubblica in rapporto alla popolazione: circa 30 famiglie residenti per 1 alloggio, a fronte del rapporto di 9:1 di Milano. In parallelo il capoluogo ligure registra un forte aumento di investimenti immobiliari nel settore degli alloggi di lusso, l’unico in evidente espansione. La questione della qualità dell’abitare e del ruolo che la progettazione riveste in questo delicato processo appaiono in questo contesto centrali. Attraverso la lettura di alcuni caratteri che legano la morfologia del territorio genovese alle modalità di infrastrutturazione e edificazione del capoluogo ligure, è possibile isolare alcuni manufatti, realizzati tra gli anni Cinquanta e Ottanta del secolo scorso, per una riflessione sulla condizione dell’abitare contemporaneo. Due i fenomeni in atto che sintetizzano altrettanti approcci divergenti rispetto al patrimonio esistente. Da un lato le icone del periodo INA-Casa si stanno trasformando sotto l’impulso di micro-interventi attivati dai singoli inquilini, che ne mettono a nudo i caratteri costituivi; dall’altro la distruzione di manufatti di seconda generazione che segna, di fatto, la sconfitta degli interventi ad alta densità. Fatti recenti come la demolizione delle ‘Dighe’ di Begato (Quartiere Diamante, complesso popolare sinonimo di degrado), da poco terminata, a cui si lega una fase di ‘rigenerazione’ del quartiere attraverso la progettazione di nuovi alloggi, lasciano diverse questioni aperte: che ruolo gioca il progetto in questo processo? Per quali abitanti vanno pensate le case del futuro? Quali parametri definiscono realmente la qualità dell’abitare?
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