Affrontare un progetto all'interno di un complesso archeologico, come in questo caso all'interno del complesso archeologico del Teatro Romano di Aosta, implica anzitutto compiere una serie di profonde riflessioni rispetto alla metodologia d'intervento, all'atteggiamento nei confronti della rovina e delle successive stratificazioni storiche, alla natura del luogo e la sua restituzione, a quale sia la tecnica museografica più adeguata e quali orizzonti si prospettano per il proprio progetto. Inevitabilmente, e oserei dire auspicatamente, queste riflessioni aprono un dibattito rispetto a cosa si intenta oggi per restauro architettonico. È fuor di dubbio che sia il Teatro che l'Anfiteatro rappresentino un caso molto raro nella tipologia di edifici per spettacoli e manifestazioni della cultura romana, seppure per motivi diversi. Il fatto che l'Anfiteatro risiedesse all'interno delle mura e soprattutto la sagoma rettangolare del Teatro costituiscono il carattere eccezionale del complesso di Aosta, ciò che lo rende quasi unico nel panorama archeologico globale. L'obiettivo del progetto non è la ricostruzione del teatro (come nel caso Sagunto), ma proprio la restituzione della natura dello spazio e della forma del teatro, che svanisce nella configurazione attuale, con il (ri)svelamento del carattere tipologico che ne costituisce di fatto l'eccezionalità ed il suo interesse primario, cioè la sagoma rettangolare. Il nuovo manufatto non è da intendersi né come una ricostruzione né come una semplice quinta. A tale dispositivo si conferisce carattere di architettura di servizio e al contempo di architettura in sè, che abbiamo voluto definire con il termine evocativo di "specula theatri". È un punto privilegiato da cui è possibile percepire la connessione, ormai perduta, con l'anfiteatro che però da questa posizione (e solo da questa) risulta perfettamente leggibile nel "negativo" lasciato dal convento. L'architettura proposta si presenta come un muro cavo, in cui al suo interno si sovrappongono spazi che rappresentano altrettanti punti di vista selezionati con precisione in rapporto alla misura del teatro ma anche a quella del paesaggio: una guida mirata e privilegiata che metta meglio in evidenza le particolarità del luogo. La matericità emerge di nuovo dall'intenzione di evocare, disvelare, ricostruire ma al contempo trasformare radicalmente la percezione del teatro romano, configurandola come una percezione potenziale e aperta, esegetica. In quest'ottica ha preso piede l'idea del riflesso, dell'immagine propria che si manifesta al di fuori di ciò che la genera, a partire dall'esempio della natura. Riflesso come presenza indiretta, involontaria, mutevole, dinamica. Una matericità che intende riflettere l'architettura nel tempo: nel proprio tempo come in quello passato. Contemporaneo e antico insieme, uno dentro nell'altro. L'uno intriso dell'altro.

Teatro Romano di Aosta in "Identità dell'architettura Italiana" vol.17

enrico molteni
2019-01-01

Abstract

Affrontare un progetto all'interno di un complesso archeologico, come in questo caso all'interno del complesso archeologico del Teatro Romano di Aosta, implica anzitutto compiere una serie di profonde riflessioni rispetto alla metodologia d'intervento, all'atteggiamento nei confronti della rovina e delle successive stratificazioni storiche, alla natura del luogo e la sua restituzione, a quale sia la tecnica museografica più adeguata e quali orizzonti si prospettano per il proprio progetto. Inevitabilmente, e oserei dire auspicatamente, queste riflessioni aprono un dibattito rispetto a cosa si intenta oggi per restauro architettonico. È fuor di dubbio che sia il Teatro che l'Anfiteatro rappresentino un caso molto raro nella tipologia di edifici per spettacoli e manifestazioni della cultura romana, seppure per motivi diversi. Il fatto che l'Anfiteatro risiedesse all'interno delle mura e soprattutto la sagoma rettangolare del Teatro costituiscono il carattere eccezionale del complesso di Aosta, ciò che lo rende quasi unico nel panorama archeologico globale. L'obiettivo del progetto non è la ricostruzione del teatro (come nel caso Sagunto), ma proprio la restituzione della natura dello spazio e della forma del teatro, che svanisce nella configurazione attuale, con il (ri)svelamento del carattere tipologico che ne costituisce di fatto l'eccezionalità ed il suo interesse primario, cioè la sagoma rettangolare. Il nuovo manufatto non è da intendersi né come una ricostruzione né come una semplice quinta. A tale dispositivo si conferisce carattere di architettura di servizio e al contempo di architettura in sè, che abbiamo voluto definire con il termine evocativo di "specula theatri". È un punto privilegiato da cui è possibile percepire la connessione, ormai perduta, con l'anfiteatro che però da questa posizione (e solo da questa) risulta perfettamente leggibile nel "negativo" lasciato dal convento. L'architettura proposta si presenta come un muro cavo, in cui al suo interno si sovrappongono spazi che rappresentano altrettanti punti di vista selezionati con precisione in rapporto alla misura del teatro ma anche a quella del paesaggio: una guida mirata e privilegiata che metta meglio in evidenza le particolarità del luogo. La matericità emerge di nuovo dall'intenzione di evocare, disvelare, ricostruire ma al contempo trasformare radicalmente la percezione del teatro romano, configurandola come una percezione potenziale e aperta, esegetica. In quest'ottica ha preso piede l'idea del riflesso, dell'immagine propria che si manifesta al di fuori di ciò che la genera, a partire dall'esempio della natura. Riflesso come presenza indiretta, involontaria, mutevole, dinamica. Una matericità che intende riflettere l'architettura nel tempo: nel proprio tempo come in quello passato. Contemporaneo e antico insieme, uno dentro nell'altro. L'uno intriso dell'altro.
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