La capacità di improvvisare, reagendo estemporaneamente agli incidenti fortuiti di un processo o di un dibattito politico, è considerata da Quintiliano la più imprescindibile fra le arti di un oratore. Altrettanto importante è tuttavia la capacità di far credere al pubblico che sia spontaneo e improvvisato un discorso che è, invece, attentamente costruito in precedenza a tavolino. Questa tecnica doveva essere stata elaborata dai retori antichi in modo più dettagliato di quanto non appaia dalla trattatistica che ci è pervenuta. Lo mostra il passo dell'epistola 1,20 di Plinio, dove si nota come anche orazioni pubblicate ma mai effettivamente pronunciate contengano delle cosiddette figurae extemporales, delle 'formule tipiche dell'improvvisazione', e cioè delle finte interazioni con gli avversari, i giudici o il pubblico, finalizzate a dare appunto un'impressione (tutta artificiale) di estemporaneità. Plinio cita, in particolare, l'esempio di un passo ciceroniano dall'Actio secunda in Verrem, dove compare un suggerimento fornito all'oratore da un pubblico mai esistito per quell'orazione che non fu mai pronunciata. Si esamineranno allora brevemente i paralleli di tale tecnica retorica di interazione col pubblico nell'ambito del teatro antico, la sua presenza straordinariamente fitta nell'unica orazione giudiziaria pervenutaci dall'età imperiale, l'Apologia di Apuleio, e la sua possibile influenza, anche al di là dei confini dell'oratoria, su uno dei devices stilistici più caratteristici delle Metamorfosi apuleiane, l'apostrofe a un lettore capace di intervenire direttamente nella narrazione.

Figurae extemporales. Brevi appunti preliminari sulla finzione di estemporaneità e sull’appello al pubblico fra retorica, orazioni ‘a tavolino’, tradizioni declamatorie e teatrali (e coinvolgimento del lettore nel romanzo),

Gabriella Moretti
2015-01-01

Abstract

La capacità di improvvisare, reagendo estemporaneamente agli incidenti fortuiti di un processo o di un dibattito politico, è considerata da Quintiliano la più imprescindibile fra le arti di un oratore. Altrettanto importante è tuttavia la capacità di far credere al pubblico che sia spontaneo e improvvisato un discorso che è, invece, attentamente costruito in precedenza a tavolino. Questa tecnica doveva essere stata elaborata dai retori antichi in modo più dettagliato di quanto non appaia dalla trattatistica che ci è pervenuta. Lo mostra il passo dell'epistola 1,20 di Plinio, dove si nota come anche orazioni pubblicate ma mai effettivamente pronunciate contengano delle cosiddette figurae extemporales, delle 'formule tipiche dell'improvvisazione', e cioè delle finte interazioni con gli avversari, i giudici o il pubblico, finalizzate a dare appunto un'impressione (tutta artificiale) di estemporaneità. Plinio cita, in particolare, l'esempio di un passo ciceroniano dall'Actio secunda in Verrem, dove compare un suggerimento fornito all'oratore da un pubblico mai esistito per quell'orazione che non fu mai pronunciata. Si esamineranno allora brevemente i paralleli di tale tecnica retorica di interazione col pubblico nell'ambito del teatro antico, la sua presenza straordinariamente fitta nell'unica orazione giudiziaria pervenutaci dall'età imperiale, l'Apologia di Apuleio, e la sua possibile influenza, anche al di là dei confini dell'oratoria, su uno dei devices stilistici più caratteristici delle Metamorfosi apuleiane, l'apostrofe a un lettore capace di intervenire direttamente nella narrazione.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/1037401
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