Prendendo spunto dalle sentt. n. 141 e 278 del 2019 l'Autrice si domanda se oggi, rispetto al 1958, la situazione dell’eguaglianza tra le donne e gli uomini in Italia sia tale da poter considerare la prostituzione “volontaria” come una forma di espressione della «libertà di autodeterminazione sessuale» delle donne. Per rispondere a questa domanda è stato preso in considerazione l’insegnamento dell’educazione sessuale a scuola nell'ordinamento italiano, assumendo la stessa nel significato attribuitole dai più rilevanti documenti internazionali e cioè come «una materia di insegnamento e apprendimento sugli aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità». Così intesa, infatti, l’educazione sessuale diventa un utile strumento per agire nella direzione della parità di genere, per contrastare gli stereotipi femminili e maschili e per prevenire la violenza sulle donne. Nell’ordinamento italiano l’educazione sessuale, inserita nei curricula nazionali di scienze e di biologia, segue un approccio prevalentemente medico-anatomico, tralasciando quindi di approfondire gli aspetti più relazionali e sociali della sessualità. Dopo avere analizzato la giurisprudenza della CEDU, della Cassazione italiana e la disciplina italiana in materia di educazione di genere (l. n. 107/2015), l'A. definisce la normativa italiana in materia di educazione sessuale non coerente con le raccomandazioni derivanti dai documenti internazionali in materia di educazione sessuale. In conclusione l'A. sostiene che non sembrano esservi oggi in Italia condizioni sufficienti per sostenere che la prostituzione è una manifestazione della «libertà di autodeterminazione sessuale» delle donne. Essa appare piuttosto come una “scelta” determinata dalla persistenza di stereotipi femminili e maschili e da condizioni di svantaggio economico e sociale, se non di vera e propria discriminazione e violenza, in cui purtroppo ancora troppe donne continuano a trovarsi anche sessant’anni dopo l’approvazione della legge Merlin.

Riflessioni sull’educazione sessuale e affettiva in Italia a margine delle sentenze n. 141 del 2019 e n. 278 del 2019 della Corte costituzionale in tema di prostituzione femminile

A. PITINO
2021-01-01

Abstract

Prendendo spunto dalle sentt. n. 141 e 278 del 2019 l'Autrice si domanda se oggi, rispetto al 1958, la situazione dell’eguaglianza tra le donne e gli uomini in Italia sia tale da poter considerare la prostituzione “volontaria” come una forma di espressione della «libertà di autodeterminazione sessuale» delle donne. Per rispondere a questa domanda è stato preso in considerazione l’insegnamento dell’educazione sessuale a scuola nell'ordinamento italiano, assumendo la stessa nel significato attribuitole dai più rilevanti documenti internazionali e cioè come «una materia di insegnamento e apprendimento sugli aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità». Così intesa, infatti, l’educazione sessuale diventa un utile strumento per agire nella direzione della parità di genere, per contrastare gli stereotipi femminili e maschili e per prevenire la violenza sulle donne. Nell’ordinamento italiano l’educazione sessuale, inserita nei curricula nazionali di scienze e di biologia, segue un approccio prevalentemente medico-anatomico, tralasciando quindi di approfondire gli aspetti più relazionali e sociali della sessualità. Dopo avere analizzato la giurisprudenza della CEDU, della Cassazione italiana e la disciplina italiana in materia di educazione di genere (l. n. 107/2015), l'A. definisce la normativa italiana in materia di educazione sessuale non coerente con le raccomandazioni derivanti dai documenti internazionali in materia di educazione sessuale. In conclusione l'A. sostiene che non sembrano esservi oggi in Italia condizioni sufficienti per sostenere che la prostituzione è una manifestazione della «libertà di autodeterminazione sessuale» delle donne. Essa appare piuttosto come una “scelta” determinata dalla persistenza di stereotipi femminili e maschili e da condizioni di svantaggio economico e sociale, se non di vera e propria discriminazione e violenza, in cui purtroppo ancora troppe donne continuano a trovarsi anche sessant’anni dopo l’approvazione della legge Merlin.
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