Carlo Dionisotti nel saggio Fortuna del Petrarca nel Quattrocento notava che sul finire del XV secolo è il sonetto l’unico erede della lirica tradizionale: la canzone morale è infatti in declino a favore del capitolo, mentre quella d’amore è sostituita dai più popolari strambotti e barzellette. Tale asserzione si confà perfettamente alla maggior parte delle raccolte di rime dei poeti del tempo, i cosiddetti ‘cortigiani’, geograficamente collocati (come è noto) soprattutto al Nord e al Sud della nostra penisola. Il presente contributo, sintesi di un lavoro più grande che sfocerà in una prossima tesi di dottorato, parte dalla notazione dionisottiana per indagare i metri e i principali temi della raccolta di rime del poeta fiorentino Francesco Cei (1471-1505), uscita a stampa nel 1503 a Firenze presso Filippo Giunta con il titolo di SONECTI, CAPITULI, CANZONE, SEXTINE, STANZE ET STRAMBOCTI COMPOSTI PER LO EXCELLENTISSIMO FRANCESCHO CEI CIPTADINO FIORENTINO IN LAUDE DI CLITIA. Il rimatore, incluso dalle varie storie della letteratura e dai saggi che lo citano tra i lirici cortigiani, visse però quasi sempre a Firenze, negli anni della repubblica savonaroliana. L’articolo ha dunque lo scopo di mostrare in che modo la raccolta ceiana si inserisca nella coeva produzione di corte; in particolare noteremo come il Cei si destreggi abilmente tra le tendenze cortigiane e la produzione volgare della cerchia laurenziana (Luigi Pulci e Poliziano in particolare) su cui dovette formarsi, aprendosi anche ad altri influssi (dall’ormai imprescindibile Petrarca ai classici e dal genere comico a quello bucolico, rinato proprio a Firenze pochi decenni prima).

Le rime di Francesco Cei: preliminari osservazioni metriche e tematiche

I. Falini
2017-01-01

Abstract

Carlo Dionisotti nel saggio Fortuna del Petrarca nel Quattrocento notava che sul finire del XV secolo è il sonetto l’unico erede della lirica tradizionale: la canzone morale è infatti in declino a favore del capitolo, mentre quella d’amore è sostituita dai più popolari strambotti e barzellette. Tale asserzione si confà perfettamente alla maggior parte delle raccolte di rime dei poeti del tempo, i cosiddetti ‘cortigiani’, geograficamente collocati (come è noto) soprattutto al Nord e al Sud della nostra penisola. Il presente contributo, sintesi di un lavoro più grande che sfocerà in una prossima tesi di dottorato, parte dalla notazione dionisottiana per indagare i metri e i principali temi della raccolta di rime del poeta fiorentino Francesco Cei (1471-1505), uscita a stampa nel 1503 a Firenze presso Filippo Giunta con il titolo di SONECTI, CAPITULI, CANZONE, SEXTINE, STANZE ET STRAMBOCTI COMPOSTI PER LO EXCELLENTISSIMO FRANCESCHO CEI CIPTADINO FIORENTINO IN LAUDE DI CLITIA. Il rimatore, incluso dalle varie storie della letteratura e dai saggi che lo citano tra i lirici cortigiani, visse però quasi sempre a Firenze, negli anni della repubblica savonaroliana. L’articolo ha dunque lo scopo di mostrare in che modo la raccolta ceiana si inserisca nella coeva produzione di corte; in particolare noteremo come il Cei si destreggi abilmente tra le tendenze cortigiane e la produzione volgare della cerchia laurenziana (Luigi Pulci e Poliziano in particolare) su cui dovette formarsi, aprendosi anche ad altri influssi (dall’ormai imprescindibile Petrarca ai classici e dal genere comico a quello bucolico, rinato proprio a Firenze pochi decenni prima).
2017
978-884675137-9
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