Risorta a nuova vita per opera dell'intervento teresiano, l'Università di Pavia visse fino agli anni Novanta del Settecento un'intensa stagione di rinnovamento. All'avanguardia negli stu­di scientifici, tribuna del giansenismo "imperiale", essa offriva anche alcune, poche, letture storiografiche e di umane lettere. Tra queste, la cattedra di Eloquenza classica, affidata per lungo tempo all'ex "accademico trasformato" Angelo Teodoro Villa: ma si trattava di un in­segnamento propedeutico, considerato sempre marginale dal legislatore. Eppure il clima d'ec­cezione che si venne a creare nella "risorta insubre Atene", la presenza di scienziati come Mascheroni e Fontana, intellettuali con decisa inclinazione alla poesia, o di un docente di Sto­ria Universale come Aurelio Bertela, profondamente legato alla cultura illuministica napole­tana, fecero della Pavia universitaria un centro vivace di dibattito tanto letterario quanto po­litico-filosofico. Si posero così alcune premesse ideologiche alla luce delle quali si può me­glio interpretare il carattere della breve stagione giacobina dell'Ateneo, dominata dalle figu­re del medico Giovanni Rasori e dei suoi giovani allievi, personalità spesso notevoli e natu­ralmente poeti "repubblicani". Ma anche nel clima teso di quegli anni, in cui la pratica lette­raria aderì alle esigenze di una politica culturale "democratica", la didattica universitaria del­le Belle Lettere non trovò nuovo impulso. Solo con la Seconda Cisalpina e la Repubblica Ita­liana si volle innalzare tale insegnamento a maggiore dignità, allargandone l'ambito con un'i­nedita apertura alla tradizione nazionale. Nutriti delle speranze di indipendenza del Triennio, gli studenti pavesi accolsero dunque con grande aspettativa Vincenzo Monti, nominato allo­ra professore di Eloquenza e Poesia, che avrebbe perseguito con lucidità una rifondazione linguistica e retorica del prodotto letterario, finalmente capace di orientare un nuovo pubbli­co nazionale. Di queste vicende, distese nell'arco di quarant’anni, il saggio offre una rico­struzione ampia, fondata su approfondite ricerche d'archivio e sostenuta dalla proposta di do­cumenti inediti.

L'eloquenza in cattedra. La cultura letteraria nell'Università di Pavia tra riforme teresiane e Repubblica Italiana (1769-1805)

TONGIORGI, DUCCIO
1997-01-01

Abstract

Risorta a nuova vita per opera dell'intervento teresiano, l'Università di Pavia visse fino agli anni Novanta del Settecento un'intensa stagione di rinnovamento. All'avanguardia negli stu­di scientifici, tribuna del giansenismo "imperiale", essa offriva anche alcune, poche, letture storiografiche e di umane lettere. Tra queste, la cattedra di Eloquenza classica, affidata per lungo tempo all'ex "accademico trasformato" Angelo Teodoro Villa: ma si trattava di un in­segnamento propedeutico, considerato sempre marginale dal legislatore. Eppure il clima d'ec­cezione che si venne a creare nella "risorta insubre Atene", la presenza di scienziati come Mascheroni e Fontana, intellettuali con decisa inclinazione alla poesia, o di un docente di Sto­ria Universale come Aurelio Bertela, profondamente legato alla cultura illuministica napole­tana, fecero della Pavia universitaria un centro vivace di dibattito tanto letterario quanto po­litico-filosofico. Si posero così alcune premesse ideologiche alla luce delle quali si può me­glio interpretare il carattere della breve stagione giacobina dell'Ateneo, dominata dalle figu­re del medico Giovanni Rasori e dei suoi giovani allievi, personalità spesso notevoli e natu­ralmente poeti "repubblicani". Ma anche nel clima teso di quegli anni, in cui la pratica lette­raria aderì alle esigenze di una politica culturale "democratica", la didattica universitaria del­le Belle Lettere non trovò nuovo impulso. Solo con la Seconda Cisalpina e la Repubblica Ita­liana si volle innalzare tale insegnamento a maggiore dignità, allargandone l'ambito con un'i­nedita apertura alla tradizione nazionale. Nutriti delle speranze di indipendenza del Triennio, gli studenti pavesi accolsero dunque con grande aspettativa Vincenzo Monti, nominato allo­ra professore di Eloquenza e Poesia, che avrebbe perseguito con lucidità una rifondazione linguistica e retorica del prodotto letterario, finalmente capace di orientare un nuovo pubbli­co nazionale. Di queste vicende, distese nell'arco di quarant’anni, il saggio offre una rico­struzione ampia, fondata su approfondite ricerche d'archivio e sostenuta dalla proposta di do­cumenti inediti.
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