Le guerre di Corsica rappresentano un fenomeno singolare nel panorama del Settecento europeo. Singolare sotto molti aspetti. Innanzitutto perché si tratta di un conflitto di durata eccezionale che, a più riprese, copre circa quarant’anni (1729-1768), nel quale si alternano senza soluzione di continuità fasi di conflitto, periodi di tregua armata e inconcludenti tentativi di pacificazione. In secondo luogo perché è al contempo sollevazione contro il dominio genovese e guerra civile fra corsi leali alla Repubblica e insorti, con schieramenti alquanto fluidi, che subiscono continui e sovente radicali mutamenti. Infine perché è un conflitto intestino ad un piccolo stato intorno a cui ruotano tuttavia notevoli interessi internazionali, col coinvolgimento, diretto o indiretto, di potenze europee (Francia, Gran Bretagna, Impero e Spagna) e stati italiani (Toscana, Napoli, Stati Sabaudi, Stato Pontificio). Ed è proprio nel quadro internazionale in cui le guerre di Corsica si collocano che i traffici illeciti occupano una posizione centrale, sotto il profilo strategico-militare, diplomatico ed economico. Attraverso i traffici di contrabbando e di frodo col continente, l’Elba e la Sardegna i sollevati alimentarono il proprio sforzo bellico esportando grano, olio, castagne, cera, legname e disertori dell’esercito genovese, e importando armi, munizioni, equipaggiamento militare e sale. E su tali traffici, è forse scontato sottolinearlo, si concentrò l’attenzione del governo genovese, sia sotto il profilo informativo che operativo: due livelli strettamente legati fra loro nel più ampio quadro di una strategia repressiva che includeva azioni militari (terrestri e navali) e iniziative diplomatiche supportate da un’articolata attività di intelligence ad ampio raggio

“Disertori, provvisioni militari, grani, olii e sale”. Contrabbando e guerre di Corsica nelle fonti genovesi (1729-1768)

BERI, EMILIANO
2017-01-01

Abstract

Le guerre di Corsica rappresentano un fenomeno singolare nel panorama del Settecento europeo. Singolare sotto molti aspetti. Innanzitutto perché si tratta di un conflitto di durata eccezionale che, a più riprese, copre circa quarant’anni (1729-1768), nel quale si alternano senza soluzione di continuità fasi di conflitto, periodi di tregua armata e inconcludenti tentativi di pacificazione. In secondo luogo perché è al contempo sollevazione contro il dominio genovese e guerra civile fra corsi leali alla Repubblica e insorti, con schieramenti alquanto fluidi, che subiscono continui e sovente radicali mutamenti. Infine perché è un conflitto intestino ad un piccolo stato intorno a cui ruotano tuttavia notevoli interessi internazionali, col coinvolgimento, diretto o indiretto, di potenze europee (Francia, Gran Bretagna, Impero e Spagna) e stati italiani (Toscana, Napoli, Stati Sabaudi, Stato Pontificio). Ed è proprio nel quadro internazionale in cui le guerre di Corsica si collocano che i traffici illeciti occupano una posizione centrale, sotto il profilo strategico-militare, diplomatico ed economico. Attraverso i traffici di contrabbando e di frodo col continente, l’Elba e la Sardegna i sollevati alimentarono il proprio sforzo bellico esportando grano, olio, castagne, cera, legname e disertori dell’esercito genovese, e importando armi, munizioni, equipaggiamento militare e sale. E su tali traffici, è forse scontato sottolinearlo, si concentrò l’attenzione del governo genovese, sia sotto il profilo informativo che operativo: due livelli strettamente legati fra loro nel più ampio quadro di una strategia repressiva che includeva azioni militari (terrestri e navali) e iniziative diplomatiche supportate da un’articolata attività di intelligence ad ampio raggio
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