Pubblicata nel 1951 dagli editori newyorkesi Farrar, Straus & Young, l’edizione americana dell’Orologio ha avuto una gestazione complicata da numerosi problemi di traduzione. Alcune lettere inedite, spedite dall’editore John Farrar a Carlo Levi e conservate nel Fondo Carlo Levi di Alassio, forniscono nuovi elementi sulla storia redazionale del libro e, se integrate ai documenti dell’archivio Farrar, Straus & Giroux della Public Library di New York e alle carte di Max Ascoli conservate all’Howard Gotlieb Archival Research Center dell’Università di Boston, permettono di aggiungere qualche ulteriore dettaglio sui rapporti di Levi con il mondo editoriale e culturale statunitense. Il lavoro di Frances Frenaye, già traduttrice di Cristo si è fermato a Eboli, questa volta non soddisfa l’autore, che se ne lamenta in una lettera indirizzata a Max Ascoli. Il fondatore del «Reporter» è il principale interlocutore di Levi negli Stati Uniti e tra il 1950 e il 1951 favorisce la promozione del libro ospitando nella rivista due anteprime dell’opera. Come si evince dal carteggio conservato ad Alassio, l’incarico di tradurre l’Orologio viene però assunto dall’editore John Farrar e dai suoi collaboratori, che incontrano difficoltà sulla resa linguistica del testo, chiedono chiarimenti sul lessico e informano sui progressi del lavoro, concluso nonostante tutto nei tempi stabiliti. Tuttavia, sebbene i problemi redazionali non riducano l’attenzione dei più importanti recensori statunitensi, l’Orologio non raggiunge un consenso di pubblico e critica paragonabile a quello di Cristo si è fermato a Eboli.

Alcune carte inedite sull’edizione americana di L’Orologio (1951)

BELTRAMI, LUCA
2015-01-01

Abstract

Pubblicata nel 1951 dagli editori newyorkesi Farrar, Straus & Young, l’edizione americana dell’Orologio ha avuto una gestazione complicata da numerosi problemi di traduzione. Alcune lettere inedite, spedite dall’editore John Farrar a Carlo Levi e conservate nel Fondo Carlo Levi di Alassio, forniscono nuovi elementi sulla storia redazionale del libro e, se integrate ai documenti dell’archivio Farrar, Straus & Giroux della Public Library di New York e alle carte di Max Ascoli conservate all’Howard Gotlieb Archival Research Center dell’Università di Boston, permettono di aggiungere qualche ulteriore dettaglio sui rapporti di Levi con il mondo editoriale e culturale statunitense. Il lavoro di Frances Frenaye, già traduttrice di Cristo si è fermato a Eboli, questa volta non soddisfa l’autore, che se ne lamenta in una lettera indirizzata a Max Ascoli. Il fondatore del «Reporter» è il principale interlocutore di Levi negli Stati Uniti e tra il 1950 e il 1951 favorisce la promozione del libro ospitando nella rivista due anteprime dell’opera. Come si evince dal carteggio conservato ad Alassio, l’incarico di tradurre l’Orologio viene però assunto dall’editore John Farrar e dai suoi collaboratori, che incontrano difficoltà sulla resa linguistica del testo, chiedono chiarimenti sul lessico e informano sui progressi del lavoro, concluso nonostante tutto nei tempi stabiliti. Tuttavia, sebbene i problemi redazionali non riducano l’attenzione dei più importanti recensori statunitensi, l’Orologio non raggiunge un consenso di pubblico e critica paragonabile a quello di Cristo si è fermato a Eboli.
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