Il principio comunitario del “divieto di pratiche abusive” è stato progressivamente recepito nell’ordinamento interno dapprima con riferimento all’IVA e, successivamente, anche al settore delle imposte dirette. In proposito, non ci si è limitati ad una mera trasposizione del principio comunitario, ma si è creata una clausola interpretativa “antiabuso” ben diversa da quella elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, fondando la nozione di “operazione abusiva” sulla assenza di “valide ragioni economiche” a giustificazione dell’operazione stessa, con la parallela svalutazione dell’altrettanto fondamentale aspetto dell’“aggiramento” della finalità della disposizione elusa, tipico del principio comunitario del “divieto di pratiche abusive”. Così facendo (soprattutto la giurisprudenza della Corte di Cassazione) ha incentrato il “disvalore” delle operazioni supposte “abusive” interamente “sui motivi” per cui queste sono state compiute, addossando al contribuente l’onere di dimostrare la “non essenzialità” del risparmio fiscale realizzato: la conseguenza di questo nuovo filone giurisprudenziale è stata quella di creare un “effetto-abuso”, che ha portato tutta la giurisprudenza a rileggere le operazioni commerciali guardando con profondo sospetto tutti quei comportamenti che avessero realizzato un significativo vantaggio fiscale. Tale “recepimento” del principio comunitario dell’“abuso del diritto”, la cui essenza era già latente in alcune norme positive esistenti nell’ordinamento giuridico, fornisce lo spunto per valutare l’opportunità di considerarlo quale possibile criterio “di chiusura” del sistema in chiave antielusiva: così inteso, il principio dell’“abuso del diritto” attribuirebbe all’interprete il potere di andare oltre “la forma dell’operazione” compiuta per privilegiarne e farne emergere la “reale sostanza economica”, disconoscendo il risparmio di imposta realizzato dal contribuente allorquando vi sia stata la piena identità tra il fenomeno economico assoggettato a tassazione dalla norma impositiva, da un lato, ed il fenomeno economico realizzato dal contribuente, dall’altro. La fonte di tale criterio interpretativo dovrebbe essere rinvenuta nel “principio di capacità contributiva” previsto dall’art. 53 Cost., disposizione che rappresenterebbe l’ultimo baluardo contro i comportamenti elusivi non contrastati positivamente dal sistema, oltre il quale si colloca il legittimo risparmio di imposta.

Abuso del diritto e clausola generale antielusiva alla ricerca di un principio

LOVISOLO, ANTONIO
2009-01-01

Abstract

Il principio comunitario del “divieto di pratiche abusive” è stato progressivamente recepito nell’ordinamento interno dapprima con riferimento all’IVA e, successivamente, anche al settore delle imposte dirette. In proposito, non ci si è limitati ad una mera trasposizione del principio comunitario, ma si è creata una clausola interpretativa “antiabuso” ben diversa da quella elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, fondando la nozione di “operazione abusiva” sulla assenza di “valide ragioni economiche” a giustificazione dell’operazione stessa, con la parallela svalutazione dell’altrettanto fondamentale aspetto dell’“aggiramento” della finalità della disposizione elusa, tipico del principio comunitario del “divieto di pratiche abusive”. Così facendo (soprattutto la giurisprudenza della Corte di Cassazione) ha incentrato il “disvalore” delle operazioni supposte “abusive” interamente “sui motivi” per cui queste sono state compiute, addossando al contribuente l’onere di dimostrare la “non essenzialità” del risparmio fiscale realizzato: la conseguenza di questo nuovo filone giurisprudenziale è stata quella di creare un “effetto-abuso”, che ha portato tutta la giurisprudenza a rileggere le operazioni commerciali guardando con profondo sospetto tutti quei comportamenti che avessero realizzato un significativo vantaggio fiscale. Tale “recepimento” del principio comunitario dell’“abuso del diritto”, la cui essenza era già latente in alcune norme positive esistenti nell’ordinamento giuridico, fornisce lo spunto per valutare l’opportunità di considerarlo quale possibile criterio “di chiusura” del sistema in chiave antielusiva: così inteso, il principio dell’“abuso del diritto” attribuirebbe all’interprete il potere di andare oltre “la forma dell’operazione” compiuta per privilegiarne e farne emergere la “reale sostanza economica”, disconoscendo il risparmio di imposta realizzato dal contribuente allorquando vi sia stata la piena identità tra il fenomeno economico assoggettato a tassazione dalla norma impositiva, da un lato, ed il fenomeno economico realizzato dal contribuente, dall’altro. La fonte di tale criterio interpretativo dovrebbe essere rinvenuta nel “principio di capacità contributiva” previsto dall’art. 53 Cost., disposizione che rappresenterebbe l’ultimo baluardo contro i comportamenti elusivi non contrastati positivamente dal sistema, oltre il quale si colloca il legittimo risparmio di imposta.
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