Appare diffusamente nota la circostanza della mancata incidenza in materia probatoria delle riforme della giustizia civile italiana –più o meno generali o di volta in volta annunciate come tali- che si sono susseguite dalla emanazione del codice di procedura civile del 1942 sino ai più recenti interventi realizzati con la l. n. 80 del 2005. Una circostanza che trova conferma anche in relazione ai meccanismi regolanti l’introduzione delle conoscenze esperte nel processo. Ed anche in ragione di ciò appare interessante rilevare come i due più recenti progetti di riforma della giustizia civile si siano caratterizzati per la volontà di incidere su alcuni dei più utilizzati strumenti tipici di accertamento dei fatti oggetto delle controversie civili, tra i quali la consulenza tecnica d’ufficio appunto. A tale riguardo, la finalità espressamente perseguita dal legislatore della riforma risulta quello di riduzione dei tempi processuali. In questo caso, tale risultato viene perseguito mediante il tentativo di eliminare udienze ritenute “inutili o superflue” e, più in generale, di rendere “più efficiente la consulenza tecnica” mediante l’adozione di due differenti modalità tecniche di intervento. Come rilievo di carattere generale pare possibile evidenziare come entrambi i progetti di riforma (che, sebbene provenienti da sensibilità culturali e politiche differenti, presentano in materia di c.t.u. il medesimo elaborato, tra l’altro poi confluito nella l. n. 69 del 2009 con la modifica degli artt. 191, 195 c.p.c. e 23 disp att. c.p.c.) scelgono di non incidere sulla notoriamente ambigua collocazione sistematica dell’istituto. Lasciando così ai margini della riforma la vexata quaestio circa la qualificazione quale vero e proprio mezzo di prova della consulenza tecnica d’ufficio. Sotto diverso profilo, si cerca di evidenziare come gli interventi riformatori non appaiano in grado di perseguire l’innalzamento degli standard di affidabilità probatoria delle conoscenze esperte, in quanto in essi risulta assente qualsiasi riferimento al requisito della correttezza –anche sotto il profilo tecnico-scientifico- delle informazioni utilizzate ai fini della chiarificazione di eventi speciali come base per la definizione di controversie. Mediante la modifica del primo comma dell’art. 191 c.p.c. si prevede l’anticipazione del momento di formulazione dei quesiti, in quanto tale attività dovrà essere compiuta dal giudice non più all’udienza in cui il consulente compare per l’accettazione dell’incarico e la prestazione del giuramento di rito, bensì con l’ordinanza di ammissione dei mezzi di prova emessa ai sensi del settimo comma dell’art. 183 c.p.c. Si segnala come in tal modo si corra il rischio di “isolare” il giudice, privandolo dei benefici che potrebbero derivare -nella cruciale attività di delimitazione dell’oggetto dell’incarico peritale- dal contraddittorio fra le parti e fra queste e il c.t.u.; un contraddittorio che era configurato come da realizzarsi oralmente in udienza. Mediante invece la riforma dell’art. 195 c.p.c. si prevede ad una benefica “procedimentalizzazione” dello svolgimento della consulenza tecnica d’ufficio (il cui procedimento era, in precedenza, in effetti estremamente deformalizzato). E ciò mediante la previsione di un primo termine, entro il quale l’esperto dovrà procedere alla trasmissione della relazione peritale alle parti; un secondo, entro il quale le parti (per il tramite dei loro c.t.p.) procederanno ad inviare all’esperto le proprie osservazioni; ed un terzo, entro il quale il c.t.u. dovrà provvedere al deposito della relazione peritale in cancelleria, comprensiva anche delle sintetiche repliche del c.t.u. alle osservazioni formulate dalle parti. Si tratta di un’innovazione che appare in grado di conseguire risultati positivi non soltanto sul versante della razionalizzazione dei tempi di svolgimento della consulenza tecnica, bensì anche sotto il profilo di una più compiuta attuazione del contraddittorio tecnico; un contraddittorio potenzialmente in grado di realizzare una sorta di “volgarizzazione della scienza” in grado di consentire al giudice di ergersi, in termini moderni, quale peritus peritorum.

Riforme in tema di utilizzazione delle conoscenze esperte nel processo civile – Brevi rilievi critici

ANSANELLI, VINCENZO
2009-01-01

Abstract

Appare diffusamente nota la circostanza della mancata incidenza in materia probatoria delle riforme della giustizia civile italiana –più o meno generali o di volta in volta annunciate come tali- che si sono susseguite dalla emanazione del codice di procedura civile del 1942 sino ai più recenti interventi realizzati con la l. n. 80 del 2005. Una circostanza che trova conferma anche in relazione ai meccanismi regolanti l’introduzione delle conoscenze esperte nel processo. Ed anche in ragione di ciò appare interessante rilevare come i due più recenti progetti di riforma della giustizia civile si siano caratterizzati per la volontà di incidere su alcuni dei più utilizzati strumenti tipici di accertamento dei fatti oggetto delle controversie civili, tra i quali la consulenza tecnica d’ufficio appunto. A tale riguardo, la finalità espressamente perseguita dal legislatore della riforma risulta quello di riduzione dei tempi processuali. In questo caso, tale risultato viene perseguito mediante il tentativo di eliminare udienze ritenute “inutili o superflue” e, più in generale, di rendere “più efficiente la consulenza tecnica” mediante l’adozione di due differenti modalità tecniche di intervento. Come rilievo di carattere generale pare possibile evidenziare come entrambi i progetti di riforma (che, sebbene provenienti da sensibilità culturali e politiche differenti, presentano in materia di c.t.u. il medesimo elaborato, tra l’altro poi confluito nella l. n. 69 del 2009 con la modifica degli artt. 191, 195 c.p.c. e 23 disp att. c.p.c.) scelgono di non incidere sulla notoriamente ambigua collocazione sistematica dell’istituto. Lasciando così ai margini della riforma la vexata quaestio circa la qualificazione quale vero e proprio mezzo di prova della consulenza tecnica d’ufficio. Sotto diverso profilo, si cerca di evidenziare come gli interventi riformatori non appaiano in grado di perseguire l’innalzamento degli standard di affidabilità probatoria delle conoscenze esperte, in quanto in essi risulta assente qualsiasi riferimento al requisito della correttezza –anche sotto il profilo tecnico-scientifico- delle informazioni utilizzate ai fini della chiarificazione di eventi speciali come base per la definizione di controversie. Mediante la modifica del primo comma dell’art. 191 c.p.c. si prevede l’anticipazione del momento di formulazione dei quesiti, in quanto tale attività dovrà essere compiuta dal giudice non più all’udienza in cui il consulente compare per l’accettazione dell’incarico e la prestazione del giuramento di rito, bensì con l’ordinanza di ammissione dei mezzi di prova emessa ai sensi del settimo comma dell’art. 183 c.p.c. Si segnala come in tal modo si corra il rischio di “isolare” il giudice, privandolo dei benefici che potrebbero derivare -nella cruciale attività di delimitazione dell’oggetto dell’incarico peritale- dal contraddittorio fra le parti e fra queste e il c.t.u.; un contraddittorio che era configurato come da realizzarsi oralmente in udienza. Mediante invece la riforma dell’art. 195 c.p.c. si prevede ad una benefica “procedimentalizzazione” dello svolgimento della consulenza tecnica d’ufficio (il cui procedimento era, in precedenza, in effetti estremamente deformalizzato). E ciò mediante la previsione di un primo termine, entro il quale l’esperto dovrà procedere alla trasmissione della relazione peritale alle parti; un secondo, entro il quale le parti (per il tramite dei loro c.t.p.) procederanno ad inviare all’esperto le proprie osservazioni; ed un terzo, entro il quale il c.t.u. dovrà provvedere al deposito della relazione peritale in cancelleria, comprensiva anche delle sintetiche repliche del c.t.u. alle osservazioni formulate dalle parti. Si tratta di un’innovazione che appare in grado di conseguire risultati positivi non soltanto sul versante della razionalizzazione dei tempi di svolgimento della consulenza tecnica, bensì anche sotto il profilo di una più compiuta attuazione del contraddittorio tecnico; un contraddittorio potenzialmente in grado di realizzare una sorta di “volgarizzazione della scienza” in grado di consentire al giudice di ergersi, in termini moderni, quale peritus peritorum.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/257937
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