Il dialogo tra dottrina e giurisprudenza in materia di giustificato motivo oggettivo di licenziamento è stato molto intenso negli ultimi anni. Nella materia in esame si è verificato al massimo grado il confronto e talvolta la contrapposizione tra approccio casistico proprio della giurisprudenza e approccio sistematico della dottrina. L'autore passa in rassegna i contributi dottrinali che negli anni più recenti hanno proposto soluzioni ricostruttive finalizzate a fornire una lettura razionalizzante degli orientamenti giurisprudenziali. A queste, l'autore contrappone la teoria di chi invece, anziché proporre ai giudici un modello di sentenza, si prefigge il compito di rileggere il diritto vivente mediante la ricostruzione del ragionamento implicito che guiderebbe il giudice nella decisione della controversia. L'obiettivo dela dottrina in questo caso riguarda la prospettiva de jure condendo. Le sofisticate elaborazioni teoriche della dottrina non sembrano tuttavia avere influito in maniera determinante sul ragionamento dei giudici. Questi ultimi in molte circostanze paiono interpretare la nozione di giustificato motivo oggettivo alla stregua di una clausola generale. Ciò apre la strada, in varie occasioni, a decisioni nelle quali pare realizzasi un bilanciamento, ad opera del giudice, tra istanze di efficienza economica dell'impresa e esigenze di stabilità del posto di lavoro del lavoratore, con parziale sacrificio del principio di insindacabilità delle scelte economico-organizzative del datore di lavoro.

Considerazioni sul dialogo tra dottrina e giurisprudenza in materia di giustificato motivo oggettivo di licenziamento

NOVELLA, MARCO
2008-01-01

Abstract

Il dialogo tra dottrina e giurisprudenza in materia di giustificato motivo oggettivo di licenziamento è stato molto intenso negli ultimi anni. Nella materia in esame si è verificato al massimo grado il confronto e talvolta la contrapposizione tra approccio casistico proprio della giurisprudenza e approccio sistematico della dottrina. L'autore passa in rassegna i contributi dottrinali che negli anni più recenti hanno proposto soluzioni ricostruttive finalizzate a fornire una lettura razionalizzante degli orientamenti giurisprudenziali. A queste, l'autore contrappone la teoria di chi invece, anziché proporre ai giudici un modello di sentenza, si prefigge il compito di rileggere il diritto vivente mediante la ricostruzione del ragionamento implicito che guiderebbe il giudice nella decisione della controversia. L'obiettivo dela dottrina in questo caso riguarda la prospettiva de jure condendo. Le sofisticate elaborazioni teoriche della dottrina non sembrano tuttavia avere influito in maniera determinante sul ragionamento dei giudici. Questi ultimi in molte circostanze paiono interpretare la nozione di giustificato motivo oggettivo alla stregua di una clausola generale. Ciò apre la strada, in varie occasioni, a decisioni nelle quali pare realizzasi un bilanciamento, ad opera del giudice, tra istanze di efficienza economica dell'impresa e esigenze di stabilità del posto di lavoro del lavoratore, con parziale sacrificio del principio di insindacabilità delle scelte economico-organizzative del datore di lavoro.
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