Il case management ha acquisito negli ultimi anni una crescente rilevanza nel settore delle politiche sociosanitarie. Esso può essere considerato in particolare come uno strumento per migliorare le nuove politiche di assistenza nel territorio (community care) e dell’assistenza continuativa (long-term care), che viene utilizzato in vari contesti concernenti l’allocazione, tra casi diversi e complessi, di risorse scarse. L’importanza assegnata al case management, in particolare, si spiega alla luce delle esigenze di modernizzazione dei sistemi di intervento nell’ambito sociosanitario, alla luce delle trasformazioni in atto e dei complessi fenomeni demografici e strutturali hanno condizionato pesantemente sia la quantità sia la qualità delle prestazioni in questo campo. È in questo quadro, infatti, che si sviluppa un interesse crescente per l’introduzione del cd. case management nel settore dei servizi sociali. Un modello organizzativo centrato sulla figura professionale del case manager o responsabile del caso il quale dovrebbe affiancare l’utente nel rapporto con i servizi ponendosi quale soggetto veicolatore di informazioni e conoscenza. L’utente dei servizi potrebbe in questo modo far effettivamente perno sul proprio potere di scelta nell’accesso ai servizi ma a partire da una condizione di maggiore informazione e consapevolezza circa le diverse opzioni a cui può accedere. Case management, dunque, come strumento necessario perché si possa realisticamente parlare di mercato nel settore dei servizi sociali tenendo conto delle peculiarità che caratterizzano i bisogni e la domanda in questo campo. A fronte di alcune potenzialità evidenti connesse all’introduzione di questa figura − il case manager − e di questo modello organizzativo − il case management − numerose sono le perplessità che si pongono circa la fattibilità e la reale efficacia di un mutamento organizzativo del sistema in questo senso. Se l’esperienza internazionale al riguardo rappresenta un solido terreno su cui basare parte delle riflessioni, è pur vero che il contesto nel quale nascono le prime esperienze di case management (gli Stati Uniti e il Regno Unito) sia profondamente differente rispetto a quello italiano, rendendo così necessaria una seria valutazione in termini di capacità di adattamento critico di quelle logiche nel nostro contesto. Alla luce di queste ipotesi il capitolo propone una possibile sistematizzazione del fenomeno − quello dei mutamenti organizzativi nel campo dei servizi sociali − ed alcune considerazioni di carattere problematico. Il case management è quindi presentato in questo contributo come frontiera organizzativa, occasione da cogliere per mettere a sistema i mutamenti già in atto (l’esternalizzazione e il mutato rapporto tra ente pubblico e organizzazioni non profit) con le recenti sfide poste dall’orientamento alla qualità e dall’apertura al mercato. Rispetto a questa che è la chiave di lettura “in positivo”, si tenteranno di mettere in luce altresì i limiti connessi all’introduzione di questo modello organizzativo nel campo dei servizi sociali proponendo, nel quarto paragrafo, una serie di “nodi critici” che nell’opinione degli autori occorre risolvere al fine di una efficace applicazione dello strumento nel contesto dei servizi sociali italiani.

Il case management

GASPARRE, ANGELO;
2005-01-01

Abstract

Il case management ha acquisito negli ultimi anni una crescente rilevanza nel settore delle politiche sociosanitarie. Esso può essere considerato in particolare come uno strumento per migliorare le nuove politiche di assistenza nel territorio (community care) e dell’assistenza continuativa (long-term care), che viene utilizzato in vari contesti concernenti l’allocazione, tra casi diversi e complessi, di risorse scarse. L’importanza assegnata al case management, in particolare, si spiega alla luce delle esigenze di modernizzazione dei sistemi di intervento nell’ambito sociosanitario, alla luce delle trasformazioni in atto e dei complessi fenomeni demografici e strutturali hanno condizionato pesantemente sia la quantità sia la qualità delle prestazioni in questo campo. È in questo quadro, infatti, che si sviluppa un interesse crescente per l’introduzione del cd. case management nel settore dei servizi sociali. Un modello organizzativo centrato sulla figura professionale del case manager o responsabile del caso il quale dovrebbe affiancare l’utente nel rapporto con i servizi ponendosi quale soggetto veicolatore di informazioni e conoscenza. L’utente dei servizi potrebbe in questo modo far effettivamente perno sul proprio potere di scelta nell’accesso ai servizi ma a partire da una condizione di maggiore informazione e consapevolezza circa le diverse opzioni a cui può accedere. Case management, dunque, come strumento necessario perché si possa realisticamente parlare di mercato nel settore dei servizi sociali tenendo conto delle peculiarità che caratterizzano i bisogni e la domanda in questo campo. A fronte di alcune potenzialità evidenti connesse all’introduzione di questa figura − il case manager − e di questo modello organizzativo − il case management − numerose sono le perplessità che si pongono circa la fattibilità e la reale efficacia di un mutamento organizzativo del sistema in questo senso. Se l’esperienza internazionale al riguardo rappresenta un solido terreno su cui basare parte delle riflessioni, è pur vero che il contesto nel quale nascono le prime esperienze di case management (gli Stati Uniti e il Regno Unito) sia profondamente differente rispetto a quello italiano, rendendo così necessaria una seria valutazione in termini di capacità di adattamento critico di quelle logiche nel nostro contesto. Alla luce di queste ipotesi il capitolo propone una possibile sistematizzazione del fenomeno − quello dei mutamenti organizzativi nel campo dei servizi sociali − ed alcune considerazioni di carattere problematico. Il case management è quindi presentato in questo contributo come frontiera organizzativa, occasione da cogliere per mettere a sistema i mutamenti già in atto (l’esternalizzazione e il mutato rapporto tra ente pubblico e organizzazioni non profit) con le recenti sfide poste dall’orientamento alla qualità e dall’apertura al mercato. Rispetto a questa che è la chiave di lettura “in positivo”, si tenteranno di mettere in luce altresì i limiti connessi all’introduzione di questo modello organizzativo nel campo dei servizi sociali proponendo, nel quarto paragrafo, una serie di “nodi critici” che nell’opinione degli autori occorre risolvere al fine di una efficace applicazione dello strumento nel contesto dei servizi sociali italiani.
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