Nel Rinascimento il mito delle Sette Meraviglie del mondo conosce nuova fortuna diffondendosi nei più vari ambiti culturali e artistici. Questo articolo ruota intorno a uno dei primi tentativi di restituzione visiva della serie nel suo complesso: una tavola stampata a Roma a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta del Cinquecento, in cui le immagini de Li sette miracoli del mondo venivano accostate in una sorta di quadreria antiquaria, a dialogare con altrettante scene di fantasia ispirate da un sonetto di Petrarca. Della tavola, sinora mai studiata approfonditamente, esistono due versioni, del tutto identiche salvo che per la dedica: il primo stato (1578-1583?) è infatti indirizzato al figlio di Gregorio XIII, attivamente impegnato nel dibattito sulla renovatie Romae; il secondo (post 1613?) a un ambasciatore di Filippo III inviato a Roma per negoziare la cacciata dei moriscos dalla Spagna. Due operazioni ben diverse, dunque: che significato poteva avere, nei due casi, il comune richiamo all’immagine delle Meraviglie e alla figura di Petrarca? Per rispondere a questa domanda, nell’articolo mettiamo a confronto la tavola con altre due serie coeve: Octo mundi miracula di Maarten van Heemskerck (1572) e Septem orbis mirabilia di Antonio Tempesta (1608), stampate entrambe ad Anversa e profondamente influenzate dagli ideali dell’umanesimo cristiano di matrice erasmiana allora molto coltivati nei circoli artistico-letterari nederlandesi. Sullo sfondo di scenari differenti, ma avvinti da molteplici ragioni di mutuo interesse – la Roma post-tridentina e i Paesi Bassi spagnoli, il mondo dell’Oratorio e le reti degli artisti e stampatori attivi a cavallo delle Alpi – l’articolo mira così a contribuire allo studio di quel rapporto fra cultura antiquaria e pensiero neo-stoico che è stato riconosciuto come uno tratti qualificanti, sia pur con inflessioni di volta in volta distinte e distintive, della Repubblica europea della Lettere.

Sulle tracce di Orazio de’ Marii Tigrino, II: le Sette Meraviglie del mondo a Roma fra Cinque e Seicento

Marco FOLIN;
2022-01-01

Abstract

Nel Rinascimento il mito delle Sette Meraviglie del mondo conosce nuova fortuna diffondendosi nei più vari ambiti culturali e artistici. Questo articolo ruota intorno a uno dei primi tentativi di restituzione visiva della serie nel suo complesso: una tavola stampata a Roma a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta del Cinquecento, in cui le immagini de Li sette miracoli del mondo venivano accostate in una sorta di quadreria antiquaria, a dialogare con altrettante scene di fantasia ispirate da un sonetto di Petrarca. Della tavola, sinora mai studiata approfonditamente, esistono due versioni, del tutto identiche salvo che per la dedica: il primo stato (1578-1583?) è infatti indirizzato al figlio di Gregorio XIII, attivamente impegnato nel dibattito sulla renovatie Romae; il secondo (post 1613?) a un ambasciatore di Filippo III inviato a Roma per negoziare la cacciata dei moriscos dalla Spagna. Due operazioni ben diverse, dunque: che significato poteva avere, nei due casi, il comune richiamo all’immagine delle Meraviglie e alla figura di Petrarca? Per rispondere a questa domanda, nell’articolo mettiamo a confronto la tavola con altre due serie coeve: Octo mundi miracula di Maarten van Heemskerck (1572) e Septem orbis mirabilia di Antonio Tempesta (1608), stampate entrambe ad Anversa e profondamente influenzate dagli ideali dell’umanesimo cristiano di matrice erasmiana allora molto coltivati nei circoli artistico-letterari nederlandesi. Sullo sfondo di scenari differenti, ma avvinti da molteplici ragioni di mutuo interesse – la Roma post-tridentina e i Paesi Bassi spagnoli, il mondo dell’Oratorio e le reti degli artisti e stampatori attivi a cavallo delle Alpi – l’articolo mira così a contribuire allo studio di quel rapporto fra cultura antiquaria e pensiero neo-stoico che è stato riconosciuto come uno tratti qualificanti, sia pur con inflessioni di volta in volta distinte e distintive, della Repubblica europea della Lettere.
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