L’articolo ricostruisce la storia del successo del primo romanzo fiorentino di Verga, muovendo dalle recensioni che accolsero La storia di una capinera lanciata da Emilio Treves nell’agosto 1873, dopo averla anticipata in quindici puntate sull’«Illustrazione popolare» con un battage pubblicitario che superò la fredda accoglienza della princeps torinese del 1871. Sfruttando un infallibile tema politico-sociale come quello della monacazione forzata e la rovente polemica anticlericale di quegli anni (ma accarezzando anche torbide passioni da crepuscolo tardoromantico e decadente), la Capinera spiccò il volo raggiungendo ventimila copie entro la fine del secolo — contro le cinquemila dei Malavoglia — e oltre sessantamila entro il 1930. La conferma di autentico best seller giunse però col tentativo di elaborazione teatrale di fine secolo e soprattutto con la riduzione a copione operata dallo stesso Verga per un film che l’attore-regista Giuseppe Sterni girò tra la campagna etnea e Catania nel 1917 e distribuì nel 1918. La Capinera tornò sugli schermi nel 1943, prodotta dalla Titanus per la regia di Gennaro Righelli e un cast di altissimo livello; ma ancor più intrigante, ed equivoco, fu il «film d’amore» che nel 1993 ne ricavò Franco Zeffirelli nel vano tentativo di emulare il maestro del Gattopardo. La fama di best seller ancora di recente ha indotto in tentazione un grande musicista pop, il catanese Gianni Bella, che ha voluto metterla in scena come «melodramma moderno», ideandone fin dal 2014 la musica e affidando l’orchestrazione a Geoff Westley e la regia al tre volte Oscar Dante Ferretti, ma soprattutto chiamando a collaborare per le liriche il maggior canzoniere italiano, Giulio Rapetti, in arte Mogol. Con l’analisi dello spettacolo, andato in scena sold out dal 9 al 18 dicembre 2018 al Teatro Bellini di Catania, si chiude l’articolo.

La Capinera del signor G. Verga

Quinto Marini
2020-01-01

Abstract

L’articolo ricostruisce la storia del successo del primo romanzo fiorentino di Verga, muovendo dalle recensioni che accolsero La storia di una capinera lanciata da Emilio Treves nell’agosto 1873, dopo averla anticipata in quindici puntate sull’«Illustrazione popolare» con un battage pubblicitario che superò la fredda accoglienza della princeps torinese del 1871. Sfruttando un infallibile tema politico-sociale come quello della monacazione forzata e la rovente polemica anticlericale di quegli anni (ma accarezzando anche torbide passioni da crepuscolo tardoromantico e decadente), la Capinera spiccò il volo raggiungendo ventimila copie entro la fine del secolo — contro le cinquemila dei Malavoglia — e oltre sessantamila entro il 1930. La conferma di autentico best seller giunse però col tentativo di elaborazione teatrale di fine secolo e soprattutto con la riduzione a copione operata dallo stesso Verga per un film che l’attore-regista Giuseppe Sterni girò tra la campagna etnea e Catania nel 1917 e distribuì nel 1918. La Capinera tornò sugli schermi nel 1943, prodotta dalla Titanus per la regia di Gennaro Righelli e un cast di altissimo livello; ma ancor più intrigante, ed equivoco, fu il «film d’amore» che nel 1993 ne ricavò Franco Zeffirelli nel vano tentativo di emulare il maestro del Gattopardo. La fama di best seller ancora di recente ha indotto in tentazione un grande musicista pop, il catanese Gianni Bella, che ha voluto metterla in scena come «melodramma moderno», ideandone fin dal 2014 la musica e affidando l’orchestrazione a Geoff Westley e la regia al tre volte Oscar Dante Ferretti, ma soprattutto chiamando a collaborare per le liriche il maggior canzoniere italiano, Giulio Rapetti, in arte Mogol. Con l’analisi dello spettacolo, andato in scena sold out dal 9 al 18 dicembre 2018 al Teatro Bellini di Catania, si chiude l’articolo.
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